il presente,
sconosciuto e improvviso. Per mensa gli avanzi. Morsi di sicurezza, certezze
bruciate, rosicchiate.
E’ un invito drammatico quello di Nadine Gordimer, in questo
suo ultimo splendido “Un’arma in casa” (Feltrinelli Ed., 266 pagg.,L.32.000).
Esplosione di esistenze indagata dal di dentro, nel lento lacerarsi della carne
della propria vita, fino ad essere altro.
Penna davvero da Nobel (quale le fu riconosciuto nel 1991)
quella dell’autrice, mai alle prese con pagine banali, e sempre viva, invece,
all’imperativo della lotta all’ “apartheid”.
Timbri uguali e diversi che ritornano anche qui. Perché anche
qui è l’Africa, il Sudafrica, ad essere teatro della vicenda. Ma la prospettiva
(come un poco anche la situazione) è oggi altra. Caleidoscopio che risalta i
bianchi, ma quelli mai coinvolti in ingiustizie di colore.
Harald e Claudia sono due facoltosi e stimati professionisti
di Johannesburg. Vita abituata al benessere, alla tranquillità e alla
giustizia, quale può essere quella di chi abita la propria villa di abitudini,
in un quartiere senza cronaca, cinto da giardini. Oltre la siepe, insomma, se mai ci fosse il
buio, non li toccherebbe. Come uno schermo televisivo, sono altre e annunciate
per altri, le brutture del mondo. Harald e Claudia sono protetti dalle loro
certezze, dalle loro sicurezze. Le stesse che hanno donato al figlio Duncan,
anche se architetto ormai cresciuto alla propria professione e vita adulta,
lontana.
Troppo lontana ? Il libro inizia da qui : da un “indovina
chi viene a cena”. Dall’annuncio, in una consueta serata tranquilla, che il
proprio figlio è accusato di omicidio. Che il proprio figlio è un assassino.
Diga spezzata sulla propria isola, l’Altra Parte del mondo irrompe tra le
poltrone di casa. L’Altra Parte del mondo, che diventa ancora più vera
nell’incarnarsi di un nero : avvocato brillante cui improvvisamente è
affidata la vita loro e del figlio. Celebre e abilissimo, ma nero. Importa,
questo ? A loro poi ? Costruttori in seconda fila di una società più
giusta che proprio a quel suo poter essere professionista vincente ha
portato ? Caleidoscopio sbiancato. Certo non dovrebbe. Se non fosse per
quel figlio, quella loro carne sfuggita e affidata a lui.
La Gordimer fissa, indaga, racconta ogni cellula di queste
anime sconvolte. Con un grandangolo sul loro presente ne rintraccia il passato,
il vissuto. Ne confessa la presunzione lacerata. E tutta la forza, tutto il
piacere dilaniante della storia si raccoglie proprio così : nel confondere pensieri e narrazione, discorso
diretto ed azione. Nessun diaframma (più nessun diaframma ora) tra vita ed
emozione.
“Il delitto è castigo”, insomma : e la citazione in
prima pagina anticipa già tutta la suggestione del libro. Sentenza esatta per
un futuro che non sarà mai più lo stesso. Diverso il loro amore, più estraneo e
solo, assassinato dallo sparo del figlio nel dubbio di aver commesso un errore
(e quale errore). Diversi i ritmi, le preghiere, le notizie che dallo schermo
non più lontano li raggiungono, stessa ora, stessa voce, dalla tivù.
L’Altra Parte del mondo siede a tavola con loro.
Rita
Guidi
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