Braccia conserte, abito grigio, sorriso gioviale che però è a metà. Perché non arriva fino
agli occhi.
Enzo Biagi è così, distaccato con emozione, esattamente come
la sua figura, la sua voce e la sua penna.
Gli eccessi mai, neanche quando dice (e come le dice) cose
eccessive. La schiettezza sempre, lucida e senza preamboli, intonata alla mai
perduta cadenza bolognese.
Se il suo nome fosse adatto, insomma, bisognerebbe coniugarlo
in uno stile, perché la sua è continuità più che ripetizione, scelta e non
monotonia. Ultimo esempio ? Questo libro : “Cara Italia” (RAI-ERI
Rizzoli, 247 pagg., L.29.000). Contraltare di carta che deriva e prosegue
nell’omonima trasmissione tivù, ma ovviamente sullo stesso sentiero di
un’avventura giornalistica ultradecennale e senza stop all’orizzonte.
“Cara Italia” è una
lettera all’oggi. Senza tralasciare il post scriptum dei ricordi e il nota bene
di denunzie e cambiamenti. E’ un’intervista alle città e una fotografia alle
(loro) persone. Itinerario tra le differenze che rendono così particolarmente
unico il nostro Paese. Un luogo comune (si potrà dire anche così ?) che
affiora insieme sfatato e logico dalla sua penna.
Perché in questo tour ci sono Torino e Milano, Venezia, Roma,
e certo Napoli ; ma anche le regioni, Marche e Calabria, Sicilia, Toscana,
Emilia Romagna ; e ancora le altre coordinate, i diversi confini che
inseguono le case dei poeti o i luoghi della fede, ancora un gradino più su di
questa Italia a quattro piani.
Il distacco nel “filmare”, l’emozione registrata dalle parole
degli altri, Biagi ci racconta così. Traditori fedeli di stereotipi consumati.
Torino ? E’ il buon senso, la signorilità di sangue blu,
l’Avvocato. Appartenenza altra e un poco perduta, che affiora nei caffè e nelle
chiacchiere che Umberto Eco o Gianni Agnelli informalmente gli affidano. Ma corre molto passato, fin sulla cima del
restaurato Lingotto.
Milano ? Estranea e grande, eppure europea, accogliente
e leale. “A volte penso che a Milano ho trovato me stesso” scrive Biagi ;
le parole che ricorda di Visconti o Wally Toscanini, o gli confidano
Castellaneta e il Cardinale Martini, come prospettiva lunga sul duomo. Città anche
di pendolari, però, e di una multietnicità
mai realizzata.
Venezia ? “Non c’è miglior fondale per un’estasi”, è il
giustamente citato Brodskij. E Casanova non avrebbe potuto esistere senza di
lei. Purchè si faccia attenzione alle gondole : la loro vita, anche se
solo “turistica” è legata a quella della laguna e dei canali.
Bologna ? E’ l’umana. Radice che ha per faro San Luca.
Humus privilegiato con il quale giocare. A volte anche davanti casa Carducci,
come ricorda nel capitolo, un gradino più sopra i territori, che lo vede in viaggio
tra le case dei poeti. “Mi dicevano -
scrive, riportando uno dei tanti aneddoti che gli piacciono - che arrivò lì il
telegramma che annunciava al poeta il Premio Nobel. Lo lesse alla moglie e commentò :
hai visto, Elvira, che non sono un cretino ?”.
Il tour qui si fa più grande, e plana tra scritti e pensieri
a Dublino come Recanati, ad Oxford come al Vittoriale o in Russia. Casa Tolstoj :
“Tutte le felicità - scrisse - si assomigliano, ma ogni infelicità ha la sua
fisionomia.”
Parole calzanti anche per il nostro stivale. O almeno così
pare, dietro il sorriso di questo cronista con gli occhi molto lucidi.
Rita
Guidi
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