mercoledì 22 maggio 2019

L'ISOLA DEI PANTEI (G.DE SIMONE) di Rita Guidi


Un’isola è sempre un luogo più piccolo. 
Confine sull’acqua che asciuga una realtà a vista. Il sempre dei giorni contro quel tutto che le sta intorno, vive il ticchettio degli uomini, con la loro eterna fatica di esserlo, ma appena oltre ha il mare. Quello che dà la vita o la morte, e la libertà di sognare fino alle favole, e che si riflette nelle stelle.
Si svolge lì, il bel romanzo di Giorgio De Simone che esce ora per la Sellerio : “L’isola dei pantèi”, intenso e breve come un’emozione.  Troppo attuale per essere una fiaba, ma troppo aperto al simbolo e alla fantasia per non appartenervi, la lettura affascina proprio per questo.
A partire dalla prima pagina e dal titolo : in una parola da Ferdinando. Perchè è lui il (co)protagonista di questa antica vicenda d’oggi. Ferdinando è un pantèo. Esemplare maschile di una razza a metà : né cavallo né asino.
Per le orecchie lunghe, gli zoccoli stretti, la coda lunga e la criniera breve, lo dici un asino - scrive l’autore - Ma le forme robuste, il bacino muscoloso, le grandi cosce, il pelo folto e lucente ti mettono di fronte a un cavallo.”
Pantèo, quindi. E non solo, ma l’ultimo. Prezioso compagno fino all’esserne ragione di vita, per Michele, maestro elementare dell’isola di Cossyra.
L’isola : mediterranea e selvaggia, come i silenzi dei suoi abitanti, è appunto un’isola. Società dagli istinti dilatati e, in queste righe, siciliana d’accenti, amplifica subito dal bene al male ogni possibile novità. Il denaro, ad esempio quello che il prezioso Ferdinando può rappresentare, invita presto a sconvolgerne i naturali equilibri ; irrompe tra legami ed amicizie. Innanzitutto tra quella che lega i nostri due : Michele, che parla e guarda e scopre i confini dell’isola insieme a Ferdinando, e il pantèo che ricambia, forte dell’appartenenza a quella estinta stirpe, con obbedienza e affetto.
Nell’isola nessuno ha visto, nessuno ha udito, nessuno sa perché è scomparso Ferdinando. Piccola e muta, Cossyra non ha guardato né guarda verso il mare.
Inizia qui la ricerca, inizia qui il dolore, il desiderio, il sogno, tracciato con gli occhi di un uomo come con quelli di un antico puledro. Ricomincia da qui il libro.  E De Simone mantiene lo stesso timbro semplice, con echi dialettali, ma rintraccia con forza umori ancestrali, suggestivi e toccanti.
Il pantèo pensa, il pantèo parla, il pantèo ama, e dunque soffre. Ma lo fa come in un c’era una volta ; come i pantèi che c’erano una volta...
Noi non siamo cavalli. I cavalli amano con furore, noi con dolcezza - sussurra a Ferdinando la sua splendida compagna - ed è per questo che la nostra razza si estingue. Noi per unirci in amore dobbiamo avere tutte le condizioni favorevoli. Per noi l’amore è qualcosa che si conquista, non qualcosa che si possiede..”
E dev’essere un amore senza malinconia. Di quello che in giro non ce n’è tanto. E pochissimo ne può contenere una piccola isola, stretta attorno al rincorrersi lento degli uomini. La fiaba, insomma, la loro e la nostra, deve fare sempre i conti con la realtà.
Ma per fortuna intorno c’è anche il mare. Quello che dà la vita o la morte, e la libertà di volare fino alle favole, e che si riflette nelle stelle.
E Michele, come Ferdinando, certo, e come tanti di noi, è uno di quelli che ancora ci crede, che ancora le guarda.

                                   
                                         Rita Guidi