mercoledì 26 giugno 2019

L'IMPORTANZA DELL'INTELLIGENZA EMOTIVA (D.GOLEMAN) di Rita Guidi


Sua eccellenza l’istinto. La personalità, la simpatia. Tutto quello che sta in mezzo, tra mente e cuore, cognizione ed emozione.
Daniel Goleman la chiama intelligenza emotiva, definizione che divenne titolo del precedente successo di questo prof di psicologia ad Harvard, ma anche rinnovato argomento del volume che esce ora per Rizzoli : e cioè “Lavorare con intelligenza emotiva”.
Perché l’autore insiste. Logica e razionalità ? Troppo fredde, non bastano. QI elevato ? Un mito conseguente, non significa nulla. Oggi (ma anche ieri) serve altro. E quello che serve somiglia molto alla rivincita dell’ultimo della classe. Il collezionista di sei, paradigma peraltro di qualche buon vecchio detto popolare, diventato leader maximo dell’azienda nella quale lavora, da impiegato, l’ex-brillante sessanta-sessantesimi.
Perché ? Ve lo spiega Goleman. Bando a qualunquismi e con dati alla mano. C’è tutta una storia, dice, dalla sua ; ed è storia interessante non da poco, dal momento che riguarda gli ingredienti essenziali per la miglior ricetta produttiva. E così, prima venne il taylorismo, inizio secolo : una corrente destinata ad analizzare i movimenti meccanicamente più efficienti eseguibili dai lavoratori. Il più bravo ? L’uomo macchina, of course. Poi venne il QI, quel quoziente intellettivo misurabile con un semplice test, più vicino a una realtà umana post-industriale. Ma limitato e limitante. Soprattutto quando negli anni Sessanta ci si mise in mezzo Freud. Ma la data fatidica è il 1973, quando David McClelland, docente di Harvard ( e di Goleman) pubblicò un articolo (“Testing for Competence Rather than Inteligence”) che spostò totalmente i termini del dibattito. Il dito puntato su chi, pur con un ottimo voto di laurea, si ritrova magari a spasso, mentre quel simpaticone dal mediocre QI è il capo che seguono e che vorrebbero tutti. Tutto perché lui ce l’ha. L’intelligenza emotiva. Criterio base, oggi, per distinguere chi ha i numeri per eccellere sul lavoro. La dimostrazione è qui, nel primo dei cinque punti che scandiscono il libro. Un cocktail vincente, che mixa dodici capacità specifiche, riassunte ed elencate nella seconda parte ; la terza destinata invece a considerare le tredici abilità fondamentali nelle relazioni. Che non sono poche. Ma se non le possedete tutte, la quarta sezione è organizzata proprio  in consigli su come affinare almeno quelle, con tanto di esempi pratici nella quinta.
Attenzione però, perché come chiarisce lo stesso autore in premessa, questo non è un libro di auto-aiuto. Un manuale per il leader fai-da-te. Se ci fossero regole (razionali, logiche) da seguire, allora si tornerebbe ai vecchi tempi del QI. Se ci fosse una formula, al posto di quella sorridente creatività ed empatia, cui invece siamo chiamati dalle sempre più variabili circostanze di lavoro, che intelligenza emotiva sarebbe ?

                                         Rita Guidi