giovedì 21 febbraio 2019

THE BEAT BOOK di Rita Guidi


C’è un’inquietudine che ha bisogno dei luoghi. Di spazi grandi abbastanza da far girare un’anima. Anche per questo America è mito. Anche per Kerouac.
(Solo) sulla strada è purezza e incubo. Diversità d’asfalto che ‘corre e corre’ all’orizzonte di un bisogno eterno e molto contemporaneo.
Estranea e antica è persino l’immobilità cui costringe una foto, fosse pure la propria...
Mi resi conto - scrive infatti lo stesso Kerouac, nel suo celeberrimo ‘On the road’ - che queste erano tutte istantanee che i nostri bambini avrebbero guardato un giorno con stupore, convinti che i loro genitori avessero vissuto una vita liscia, ben ordinata, delimitata nella cornice di quelle fotografie, e si fossero alzati al mattino per incamminarsi orgogliosi sui marciapiedi della vita, senza mai sognare la stracciata pazzia e la ribellione della nostra vita reale...”
Su quattro ruote è la soglia, scoperta uguale alla più lontana preistoria, per dare ascolto al pulsare beat che inizia in quegli anni ’50, e cui la sola fantasia più non basta. Occorre motore e orizzonte ; rumore di corpi e di vita.
Paradossali come un invito, forse, le sirene di Lowell :
industrializzatissima città del Massachussets che a Kerouac diede i natali. La povertà vinta con le spalle forti di grande giocatore di foot-ball, il bellissimo e giovane Jack si guadagna così gli studi al College. Dal numero 9 di Lupin Road alla Columbia University di New York, è già la direzione che vuole. Ma è comunque a Lowell che l’oggi ottantenne allenatore ne ricorda gli umori adolescenti.
Lo ricorda...L’occasione è ormai da quattro anni quella del Festival che la città tiene nel suo nome. Tremila persone che arrivano da un ovunque casuale ; presenze celebri e meno celebri, da Ginzberg in giù ; musica ; ciceroni che sballonzolano di qua e di là i turisti di Kerouac. I viaggiatori ci vanno da soli. Nei luoghi di Kerouac.
I luoghi : basterebbe la geografia a cancellare la dimensione del ricordo. Perché la strada è la strada. E come Kerouac correva e correva, l’inquietudine d’asfalto (che ha bisogno d’asfalto) è ancora e sempre anche la nostra.   Il sole non importa, è altrettanto ‘viaggio’ la notte, ma certo lo spazio è quello d’America di più. Perché diverso è il suo pane e, appunto, le sue strade (Hopper, non Fattori).
Non è un caso che nel bel volume che esce proprio ora per Il Saggiatore, “The beat book”, curato da Anne Waldman con premessa di Allen Ginzberg (la traduzione è di Luca Fontana), non manchi un capitolo finale che rintraccia e ricorda i più letterari luoghi beat : Città del Messico e Kyoto, certo, ma poi è Berkeley e Big Sur, Frisco e Denver, il Greenwich Village o comunque New York.
Ricorda...Perché qualcuno parla di revival. E non c’è dubbio che il mondo editoriale e non, sembra davvero abbia gran voglia di (ri ?) percorrere queste strade mobili.
Questa antologia, appunto ; un’attenta raccolta di testi che dai nomi storici di quell’allora avanguardia letteraria, scendono a quelli di oggi (di oggi...) : e dunque Corso, Kerouac, Cassadi, Ginzberg, Borroughs, Ferlinghetti, McClure, Snydel...
Una carrellata che come una macchina da presa attraversa le stesse tensioni ; a proposito : alla Mostra del Cinema di Venezia di quest’anno una specifica sezione era dedicata  (sia che fossero soggetti, sceneggiature o attori) al denominatore comune dell’universo beat.  E sono due, poi, le Mostre ancora in corso : non solo cinema ma anche scritti, quadri, sculture...a San Francisco, nel MH de Young Memorial Museum, fino al 29 dicembre ; e a Boston (dopo Firenze e Lowell), solo su Kerouac, questa, organizzata dal giornalista italiano Silvestro Serra e dal fotoreporter Massimo Pacifico.
Italianissima, ancora, la raccolta speciale di sei millelire (Stampa Alternativa) su “Beat & Mondo Beat”, che ci riporta alle ‘novità’ su carta, e che unisce ad una prospettiva peninsulare del fenomeno, uno sguardo un poco dissacrante sui protagonisti d’oltreoceano.

“Il libro dei blues” è invece un’altra nuova proposta (nelle edizioni Leonardo della Mondadori) che delle suggestioni della strada raccoglie esclusivamente la poesia della musica : sono i ‘chorus’ , i componimenti che Kerouac scrisse soprattutto su (e a) San Francisco. Con un andamento limitato dalla misura delle pagine del taccuino su cui li ha scritti, come afferma lui stesso (e poteva essere altrimenti ?), e con una forma, aggiunge, “determinata dal tempo oltre che dallo spontaneo fraseggiare & armonizzarsi del musicista col battere del tempo che si accavalla & accavalla in chorus misurati.”
Il tempo : è questa la dimensione che improvvisamente affianca (solo affianca) quella dello spazio, nei saggi sul buddhismo, sempre dell’Autore. Anche questi pubblicati ora negli Oscar Mondadori con il titolo “Il sogno vuoto dell’Universo”. 

Lo sguardo su ‘quell’altro viaggio’, la stessa voglia di andare finchè non si arriva, verso un ‘dove’ che ha lo stesso fascino ed incertezza, qui c’è però una ‘sosta’. Come un respiro trascendente, per sgranchirsi le gambe scendendo dall’auto.
E dopo tanta strada, Kerouac conclude così queste pagine : “Per me - dice - quella è la parola e la strada che cercavo - e ancora - Forse la saggezza è a Oriente, la compassione a Occidente.”
Facile che ci sia sempre qualcuno che abbia voglia di farsene (o non farsene) un’idea. Per le proprie personalissime strade.
Kerouac ? Macchè revival...

                                    Rita Guidi