venerdì 26 aprile 2019

IL CYBERPUNK di Rita Guidi



 
Saranno dunque questi i nuovi viventi ? 
Entità ancora appese a un corpo inutile (innestato di microchip, potenziato  di arti meccanici), menti protese tra i mondi paralleli delle Reti virtuali, identità indecise anche del proprio sesso, Dorian Gray cibernetici e molteplici (avatar, come si definiscono qui), abitanti di apocalittici-ecologici luoghi postmoderni ?
Dando una scorsa a qualche storia cyberpunk, sembrerebbe di sì. O ascoltandone la musica. O navigando tra i loro siti e fanzine in Internet. O assistendo e osservando qualche performance artistica del genere. Perché il cyberpunk non è solo un fenomeno letterario, votato alla normalizzazione di un futuro che la scienza ci dice possibile (e quindi non fantascienza). E’ un clima. 
E’ il “trash” di una modernità in pezzi, fantascienza del reale, ribellione tribale in pieno (dis)accordo con la tecnologia informatica, il cyberpunk.  Un assemblaggio virtuale anche nel termine, per indicare la voglia manifesta di essere “contro” (ricordate le creste colorate degli ultimi anni Settanta ?) e insieme l’appartenenza ad un mondo parallelo, quale quello che si può costruire sull’astratta concretezza delle più estreme interconnessioni digitali. Cyberspazio e underground : è questo il crinale ibrido e suggestivo di un’appartenenza certamente letteraria, ma che espande a perdita d’occhio, permeabile e inquietante, le proprio tracce e rimbalzi.
Vicino troppo vicino al nostro presente storico e sociale, permeato (fino ad anticiparle) di tecno-conoscenze, al cyberpunk sembra proprio andare stretta la semplice catalogazione di fantascienza. E rivendica forte una specificità propria, sancita ora da un imperdibile volume di Antonio Caronia e Domenico Gallo, “Houdini e Faust” (di Baldini & Castoldi, 200 pagg., L.26.000) che ne traccia con cura e interpretazione attenta, una breve storia.
Cronologia già possibile, per l’essere già sufficientemente lontana la radice del fenomeno. Perché c’era una volta, Frankestein, no ? : ed era con quell’accozzaglia di membra riportate in vita dalla fantasia ottocentesca di Mary Shelley, che nascevano i dubbi e i timori, le preoccupazioni o gli entusiasmi di un presente inquietato di scienza. Da allora, come ricordano gli autori, il confronto con il “nuovo” ha prodotto diversi atteggiamenti letterario-fantascientifici. Da una “golden age” che raggiunge gli anni Quaranta, ottimista quasi ad oltranza (Asimov & C.), ai decenni successivi, invece critici, preoccupati, catastrofisti, nell’immaginare scenari prossimi venturi ( “1984” di Orwell è un titolo che basterà per tutti). In ogni caso erano e sono letture per appassionati, un mondo a parte che accetta la propria codifica. Fino agli anni Sessanta. Fino a quando qualcuno decide di spezzare due volte i confini ; il romanziere James Ballard, già sulla scena letteraria ben oltre la fantascienza, non a caso firma quello che diventerà il manifesto della cosiddetta New Wave inglese. Il titolo ? “Qual è la strada per lo spazio interiore ?”. Ed e’ con questa domanda e le successive risposte, che si iniziano a violare gli spazi dell’identità anziché quelli del cielo, la Terra diventa il vero luogo da esplorare, e la psiche la dimensione aliena. Non solo, ma si invita a leggere queste pagine senza il pregiudizio riduttivo di una catalogazione di genere (la fantascienza), come “semplice” letteratura.
I risultati saranno scarsi ma le ricadute importanti. Il cyberpunk, infatti, nasce anche da lì. Sul terreno pronto di una fantastica ( e questa volta riuscita) evasione, circondato dagli stimoli che la microelettronica e la telematica offrono alla società degli anni Ottanta, nascono i “neuromantici” ; così la prima definizione del fenomeno. Un nome da un successo : il primo romanzo di William Gibson (“Neuromante”, 1984) ; ma accanto a questo imprescindibile autore, che per primo immagina l’odierno cyberspazio, ne crescono subito altri : Rudy Rucker, John Shirley, Philip K.Dick, Pat Cadigan...Ma soprattutto Bruce Sterling, giornalista e narratore, organizzatore infaticabile oltre che mente pensante di questo gruppo “dagli occhiali a specchio”(altra definizione che deriva da quell’altro cult-book che è un’antologia da lui curata, “Mirrorshades”). Una traccia comune e involontaria di molti protagonisti di questi racconti, che indossano uno strumento ancora vecchio di materia, per schermare l’identità e il passato e riflettere il futuro di un mondo cui più non serve lo sguardo. Né, soprattutto, il corpo.
Tribù mentali, abitano queste pagine. Uomini e spazi smaterializzati. Giubbotti di pelle consunta che rivestono indecise identità. Androidi, cyborg, robot. Fuga dal controllo. Ribellione.
Per questo, poi, lo chiameremo cyberpunk. Evento che si estende oggi ben oltre i luoghi anglosassoni dai quali è nato (in Italia la casa editrice Shake, pubblica quasi esclusivamente questi titoli ; tra i più recenti “Snow Crash”, di Neal Stephenson, “Mindplayers” di Pat Cadigan, o l’antologia di racconti “Strani Attrattori”), e che diventa subito fenomeno non solo scritto. E’ il caso di performance artistiche, musicali, siti e fanzine in Internet ; o dei molti film che ad esso si sono ispirati (capostipiti il cult-movie “Blade Runner” che Ridley Scott ha tratto da “Il cacciatore di androidi” di Philip.K.Dick o “Crash”, tratto dall’omonima opera di Ballard). Segnale importante di un clima, che diventerà sempre più vicino a un immaginario collettivo globale. A una realtà nella quale la cosiddetta rivoluzione informatica ha avvicinato ormai tutti noi all’universo della Rete o del virtuale.
Parallela al presente, questa letteratura con gli occhiali a specchio, raggiunge allora in pieno quel suo primo obiettivo : non più (in senso riduttivo) fantascienza, diventa invece occasione di riflessione sulla società e sui media, sul futuro “vero”.
 Per questo anche in queste pagine di Caronia e Gallo, che ci accompagnano alla fine, affiorano indizi inquietanti di realtà, nelle citazioni di McLuhan o di Toffler, dal pensiero dei quali è presa a prestito l’idea della Terza Ondata ; quella Terza Rivoluzione, cioè, dopo la Prima che segna la nascita della civiltà, e la Seconda, dell’industrializzazione, che rende oggi l’uomo una particella accelerata travolta dall’era dell’informazione. Sotto il peso di un corpo inutile, i computer come protesi della mente, insegue ciò che lui stesso ha prodotto : mondi paralleli in cui inventarsi altre identità ; libertà nuove, da rubare come un hacker tra i rifiuti informatici dei grandi organismi di controllo, o più semplicemente, ritribalizzandosi nell’anarchico caos della Rete...
Uomo o donna che importa ? Il corpo che importa ? La persona diventa pensiero, in questo orizzonte senza più pelle tra letteratura e realtà, presente e futuro.
Indossare gli occhiali a specchio, anche solo per un istante, sembra essere insomma il solo modo per comprendere appieno il postmoderno che ci circonda.
I nuovi viventi, forse.
Ciò che, forse, è.
E alla domanda che potrà crescere inquietante, chiudendo un libro o un giornale, se l’esistenza virtuale sia da considerare esistenza, basterà rispondere con i nostri autori : “per sopravvivere in questa eccitante ma pericolosa congiuntura...anche noi dovremmo preferire essere Houdini che Faust.”

                                         Rita Guidi