lunedì 7 gennaio 2019

FUGA DAL MONDO (V. ANDREOLI) di Rita Guidi


La sua casa è un cubo in equilibrio sul nulla, ma quel suo  orizzonte con gli spigoli non gli serve a comprendere gli assurdi profili della realtà. Angelo Spini, del resto, quella strana dimora non la usa per viverci, ma per sottrarsi a quanto, della vita, non possa abitare dentro la sua mente.
 Per questo si chiama “Fuga dal mondo” (Rizzoli, 249 pagg., 17 euro) l’inconsueto, complesso romanzo di Vittorino Andreoli, del quale Spini è assoluto protagonista. Inutile precisare che in ogni pagina è perfettamente udibile la voce più celebre dell’autore; le sopracciglia caotiche e folte di chi si addentra da studioso nei labirinti (anche più cupi) della psiche umana. Ma, accanto ad essa, ecco il crearsi di una parola altra, tormentosa e libera, a dar vita al difficile snodarsi di questa storia.
 Perché Angelo Spini è il discendente di una dinastia di nessuno, il figlio di un nome che ha iniziato a riscattarsi da un’ancestrale povertà, ed è diventato un eccentrico e celebre pensatore di idee. Inventore di necessità mai necessarie, ma per questo straordinariamente vendibili…
 “Vengo sovente a New York – spiega lo stesso Spini a uno dei rari personaggi che lo affiancano in questo libro, e cioè l’avvenente e blasonata Donna Ludovica, incontrata per caso a un tavolo del Plaza – uno dei rari luoghi in cui si possono vendere idee(…). Qui si acquistano e hanno un copyright come ogni altro prodotto e si fanno anima di organizzazioni capaci di produrre ricchezza”.
 Per questo ora anche lui è ricco. E di quella inattesa ricchezza è simbolo la sua casa. Un cubo sospeso sul nulla di un dirupo, in aperta ostilità con le leggi della fisica e con quelle del mondo. Un’isola. Più lontana dalla città che da quel cimitero dove ora è sepolto suo padre e verso il quale così spesso ama incamminarsi.
 Quant’è più facile parlare con i morti. E quant’è facile scoprire la fluidità di apparenze quali la vita e la morte. Paradigmi sottili. Mentali. Ecco: mentali. La voce del libro grida esattamente lì, per dirci della straordinaria concretezza dei nostri pensieri. Per dirci che tutto è (e nemmeno tanto filosoficamente), se è nella nostra mente. Solitudine e paura, follia e felicità. Fluidi immensi e cerebrali che bagnano di concretezza ogni nostro gesto sul reale.
 Non è un caso che il breve spessore delle vicende, già occasionale contorno nella prima parte del romanzo (l’incontro passionale con Donna Ludovica, appunto, o quello grottesco con un caricaturale e italianissimo Capo di Stato), si annulli nella seconda, denominata Tzero. E’ qui che l’autore amplia in uno spazio assoluto e tutt’altro che conclusivo, gli orizzonti cubici del protagonista.
 “Questo è il mio mondo e non ho nostalgia del mondo (…)– vi si legge – C’è un mondo, il mio mondo, dove mi sento il fattore e un altro mondo, quello concreto, di cui al massimo sono un ospite e di fronte al quale provo spesso un senso di inadeguatezza, di paura e la voglia di scappare (…) Vivo isolato in un luogo disabitato, senza rumori umani e con tutto il mondo dentro la mia testa  Quando cerco di rappresentarmi un insetto del mondo creato da Dio faccio più fatica che a generare io stesso un animaletto che non esiste
Tanto può essere così sottile la barriera tra la vita e la morte(...) Sono nel mio mondo e ci campo bene. Un mondo dentro la testa. Sono il dio di questo mondo.”
 Il dio di un mondo in equilibrio sul nulla.

                                          Rita Guidi