mercoledì 27 marzo 2019

L'ARTE DI PERDERE PESO (M.FORTUNATO) di Rita Guidi


Accade spesso che sia una scomparsa, il punto d’incontro tra molti destini. L’assenza improvvisa di qualcosa o di qualcuno. E’ allora, spesso, un momento di buio, malauguratamente utile al riaffiorare di tutte le ombre nella propria esistenza. E’ lo spegnersi, un poco, della luce (vera o illusoria) cui si è deciso di aggrappare la vita.
Scompare un uomo, al centro esatto del dolorosamente incantevole romanzo di Mario Fortunato, “L’arte di perdere peso” (di Einaudi, 207 pagg., L.28.000). E scompare, ben oltre le soglie del libro, imponendo una sosta e una nuova partenza allo scorrere della narrazione.
Narrazione, comunque, ininterrotta di emozioni e tormento, questa del quasi quarantenne Autore (già suoi, sempre per Einaudi  “Luoghi naturali”, “Il primo cielo”, e “Sangue”), che firma tra l’altro ‘reportages’ di  luoghi (“Passaggi paesaggi”, di Theoria) e di uomini (“Immigrato”, sempre Theoria).   Superficie e scavo, quindi, immagine e anima, sono un tratto costante della sua penna, esattamente come qui.
Perché è una morte improvvisa e violenta che però arriva piano, quella del Professor Fabre. Una scomparsa che segue e ne precede altre. Ed è un’ombra (attesa ?) in un divenire costante e vitale (e mortale) di volti e di esistenze e di luoghi, che punteggiano incessanti questa vicenda.
L’appuntamento è Djerba : il calore pigro di un vicino oriente per trasudare il sale di mille protagonisti.  Qualcuno è lì per lavoro, altri per la vacanza imprevista o di routine. Ma il sole, il villaggio, la spiaggia, sono solo il contorno esotico di chi giunge da un altrove. Quasi in esilio da una certa parte di se stessi, verrebbe da dire, pensando al titolo (esilio, appunto) che con cadenza alternata ricorre capitolo dopo capitolo.
 E certo lo è quello di Blasi. L’italiano, tondo e anziano dottore che ci è dato conoscere nei pensieri e nei ricordi. Un uomo solo, dopo che la luce della sua esistenza è scomparsa improvvisamente. Silenziosamente, inspiegabilmente, la moglie Dina ha tolto la vita a se stessa e ha spento la sua. I perché perduti nell’ombra di chi vuol credere di essere felice, di chi è cieco alla tristezza di un certo sorriso, di chi è capace di un amore che preferisce non chiedere mai, con una fiducia grande quanto il terrore.
Blasi è una figura centrale nella vicenda. E’ lui che ci conduce a Djerba ; è con lui che l’autore ci abitua alla sinfonia dolceamara dell’autopsia continua tra i sentimenti. Ben più dei dialoghi o del semplice racconto, sono infatti i pensieri, i diari, le lettere, a condurci ovunque nell’anima : in Sardegna o in Giappone, in Inghilterra o in Olanda, Francia, California, gli altri “ospiti” di questa tormentata vacanza affiorano nudi della propria vita. E la intrecciano ad altre ; come ingredienti su una bilancia che sa far tornare esattamente i conti.  Tutte comunque e sempre in cerca di luce : fosse l’espressione intensa per l’arte fotografica di Pradine, o invece il riflesso dell’oro nel quale cerca ancora un po’ di un negato splendore la  solitudine di Lina. Tutte inquiete per qualcosa che si è ingigantito dentro : la malattia o l’omosessualità, una lontananza, un dolore, un’assenza. Qualcosa di pesante. Perché, insomma, “L’arte di perdere peso” non è un libro per alleggerire il corpo né (tantomeno) uno di ricette, se non nel gioco di specchi tra l’Autore e un’altra protagonista, Myriam. E’ lei, dolcemente rotondetta, che decide ad un tratto di pubblicare una raccolta con quel nome. Titolo giusto per indicare ad altri quella soluzione che da tanto cercava. “Qualcosa che aveva a che fare più con l’anima che con il corpo”, per dirla come scrive lei. Ricette sapide eppure leggere ; appetitose e fragili, come la felicità e la vita. Come la luce (vera o illusoria) cui abbiamo scelto di aggrappare la vita.

                               Rita Guidi