Sì. Proprio lui, il regista toscano, piccoletto e barbuto,
che ha firmato non senza un po’ di quel sale che gli appartiene, la pepata
simpatia all’italiana di grandi successi cinematografici come “I laureati”, “Il
ciclone” o “Fuochi d’artificio”.
“Trent’anni, alta, mora”, questo il titolo del suo libro, che
esce adesso per Mondadori, è allora sempre lui. Il regista e anche di più, che
apre uno squarcio su carta dei propri pensieri in formato racconto.
“Li ho scritti in diversi momenti della mia vita - spiega
infatti in postfazione - Alcuni sono frutto della mia fantasia, in altri rivedo
qualcosa di me stesso. Di tutti comunque riconosco come mia ogni parola, dalla
prima all’ultima”.
Riflettori privati sugli appunti sparsi nel cassetto,
insomma, per questa raccolta di ventisei titoli, il respiro spesso non più
lungo di tre pagine.
Grumi intensi e ingenui come un’emozione, o invece
(chissà ?) mezze ipotesi di sceneggiature, battono a macchina situazioni
di vita quotidiana alle prese con le inquietudini di sempre : la noia da
uccidere in un bar (a riuscirci !), i miti e i riti di una contemporaneità
da osservare (subire) senza la minima soddisfazione, i bilanci che affiorano
improvvisi quando si ferma l’abitudine, l’amore. Quello che si vorrebbe ma che
non si ha, o quello che arriva proprio quando non dovrebbe.
Le scene, insomma, sono davvero tante. E tanti (più riusciti
magari in “Filippo bello e di corsa” o in “Ehi”) i personaggi, accanto a quelli
nei quali intravedere la faccia semplice, dall’aria timida eppure sorniona
dell’autore.
Ma in tutti, il tono e lo stile sono uguali e
inconfondibili ; penna che usa la
stessa pellicola. Perché l’atmosfera è
asciutta, anche se le battute strappano la risata schiette, sdrammatizzanti.
Perché gli occhi di Pieraccioni documentano la vita : bella, un poco
stupida o da fare in modo che sia così, a caccia di sogni e preda del destino.
Disillusione e poesia. Per questo, dice, ha dovuto discutere con l’editore, non
per tagliare le toscanate, no. Ma “per difendere alcune espressioni giudicate
oscure...- scrive - però ho insistito per mantenere ‘il mare che non affonda’ o
‘i primi baci che ho pianto’ e ‘tutte le stelle del mondo ti remano contro’.
D’altra parte si sa - conclude - scrivere un libro è come fare un viaggio in
certi cieli che distruggono gli orizzonti stessi”.
O come girare un film : qualche taglio, anche a limarci
il cuore, bisogna farlo.
Trentatre anni, piccoletto, toscano : è comunque proprio lui.
Rita
Guidi
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