mercoledì 29 maggio 2019

CON GLI OCCHI DI CHATWIN di Rita Guidi


Raccontava, una mattina, di essersi svegliato cieco. 
Di corsa dal medico, aveva accettato con piacere di assumere una davvero particolare medicina : “Hai guardato i quadri troppo da vicino - gli aveva infatti diagnosticato - Perché non li sostituisci con vasti orizzonti ?”
Bruce Chatwin iniziò quindi “necessariamente” a viaggiare. Sollievo a un’inquietudine negli occhi, che gli scottava già addosso ad iniziare dal nome.
E del suo sguardo (mai) fermo, di quel che gli altri vedevano di lui, ma anche di quanto era nascosto dietro ciò che voleva e lasciava vedere loro, parla ora il volume che Susannah Clapp, sua editor ed amica, pubblica (in Italia) per Adelphi : “Con Chatwin”.
Per cesura ideale proprio quell’emblematico episodio, il libro come la sua vita (e la sua morte) gli ruota attorno : dal prima, e dunque dall’universo londinese che lo vedeva giovane certezza di Sotheby’s, al dopo dei luoghi e della Patagonia. Per direzione i sentieri che potevano farlo sentire libero delle proprie contraddizioni.
 Bello ben più di quanto le foto riescano a rivelare, esteta dall’impeccabile “divisa” cachi e dallo zaino fatto a mano, irresistibilmente e insopportabilmente più giovane di una decina d’anni rispetto a quelli che realmente aveva, questo scrittore di libri di viaggio che non sopportava di essere chiamato così, è qui osservato come in uno specchio segreto. Più un caleidoscopio, però, che una galleria di ritratti dello stesso soggetto. Perché Chatwin, insomma, era Chatwin, uguale sia per chi lo apprezzava che per chi lo disprezzava.  E cioè l’occhio infallibile ed esigente, nell’arte come nel più spoglio paesaggio, e il bisogno indefinito di un tutto, da setacciare dell’inutile, però, ad ogni riposo, ad ogni ritorno. Per questo conservava nella ricercatezza delle sue mille abitazioni, solo poche cose (un oggetto, anche solo un taccuino) di quel tanto che  andando aveva conosciuto ; e magari se ne liberava, poi, per trovare di nuovo un più ascetico ed estetico equilibrio. E per questo la sua fissazione nomade, doveva fermarsi troppo a lungo nelle dimore vicine o lontane della moglie o dei molti amici. Ma soprattutto, per questo doveva chiacchierare. Perché le parole vanno e non restano, se non nel ricordo o nel racconto scritto, setacciato anche quello però, come testimonia qui la Clapp. Conversatore instancabile, Chatwin superava con la fantasia quell’orizzonte dove si fermavano invece i suoi occhi viaggiatori. Ma era immaginazione autentica, ovviamente. Occhiali di una verità sua.  Medicina necessaria.


                                         Rita Guidi