domenica 16 giugno 2019

IL TALENTO DEL DOLORE (A.MILLER) di Rita Guidi


Risultati immagini per il talento del doloreSarebbe forse più bello vivere ignorando il dolore ?Anestetizzati alla sofferenza ? Sordi a una conoscenza che è di ogni altro uomo, ciechi di quelle lacrime che ci regala il nostro primo respirare nel mondo ?
Lo chiede e ce lo chiede Andrew Miller, con questo suo “Il talento del dolore” che esce ora da Bompiani. Un’opera prima di questo autore, che ha conosciuto l’Oriente (ha vissuto e lavorato in Giappone...) e l’Occidente, nordico e latino (...ma anche in Olanda e Spagna). Romanzo comunque già acclamato, pubblicato in diciotto Paesi.
Forse perché più che romanzo è appunto una (quella) domanda. E più che una domanda un grido, per questo già inquieto di risposte.
La cornice è il Settecento : orizzonte di natura e ragione, ma con briciole indomabili di cielo, magia, superstizione. Il protagonista è un medico, scienziato non ortodosso, raccontato in una vita densa, straordinaria e difficile, più spesso dagli occhi degli altri, e dunque ciarlatano o pazzo, luminare o stregone. Gli altri : figure perfette di quel diciottesimo secolo. Di un tempo in cui gli uomini vestono parrucche e leggono il “Candido”, ma alle donne basta un cenno per essere guardate come streghe.
Tutto è insieme fantastico ed esatto, nelle pagine di Miller. Che parla con parole forti. Il presente storico, le immagini crude, dal ripugnare necessario e morboso come nel primo D'Annunzio ; la quotidianità in caduta libera quando lo stile lo trascina troppo in alto, e poesia a piene mani quando dipinge i paesaggi dell’anima. Soprattutto di una. Accanto a quella, turbata e umanissima fino ad ammiccare a un don Abbondio, del reverendo Julius Lestrade, autentica cerniera del racconto, le pagine, una dopo l’altra, trafiggono quella del medico, appunto, James Dyer. La trafiggono senza dolore, certo : Dyer non sa cosa sia. Nasce muto, ma perché senza pianto. Cresce bello, nella rustica campagna inglese - qualche carro, un villaggio - ma gli sguardi che attira il suo strano silenzio, vanno al fondato sospetto che il piccolo non sia esattamente sangue del suo sangue. Finchè un giorno la vita bussa alla porta di casa : James cade e si rompe una gamba, e parlerà, ma non piange perché non soffre, e guarirà presto, incredibilmente presto ; la sua famiglia, invece, non guarirà dallo sterminio atroce del vaiolo.
 Il mondo è ora davanti alla sua solitudine. Fenomeno da baraccone per quel suo innato, misterioso talento del dolore, da martoriare senza un grido, sfruttato o coccolato, geniale fanciullo che insegue anche per mare la propria libertà, James non perde però occasione per imparare, capire, diventare. Lo avvince il corpo, quel mistero che è dentro lui stesso, quella materia che può essere preda di un dolore che non conosce, ma che si può sezionare, curare, debellare. Sarà medico, di cinismo e di fama. La ricchezza sgorga copiosa dal suo bisturi spregiudicato. Guaritore di corpi, e che altro (c’è altro) ? Bisognerebbe forse chiedergli altro che non di tagliare-suturare-cucire il più velocemente ed efficacemente possibile, in cambio di danaro e di oro ?
La sofferenza non la sa, ma la guarisce ; e il piacere neppure, non ne ha il tempo, né la necessaria debolezza di uomo, per apprezzarlo o condividerlo. Anima sotto anestesia. Fino al risveglio. Al tempo in cui scocca il dolore, e il solo esistere possibile chiede gli arretrati.
Romanzo e atmosfere si fanno qui pazze, dolcissime, dolenti. James nasce, faccia nella polvere, alla vita degli altri.  Ora appartiene al mondo. Orizzonte che fa subito dimenticare il suo confine Settecento. Che ha un’eco costante, anche troppo vicina. E suoni attuali : natura e tecnica, ma con cenni indomabili di cielo e magia ; universi virtuali e ricchezze che soffocano grida e domande. Anestetizzano alla sofferenza.   Come si potrebbe vivere ignorando il dolore ? Come si può vivere, dimenticandolo ?

                                    Rita Guidi