lunedì 4 febbraio 2019

CONFUCIO NEL COMPUTER (F.COLOMBO) (1) di Rita Guidi


Il dubbio è che sia questa l’Apocalisse. 
La certezza è che sia comunque una fine.
Le parole di Furio Colombo non concedono spazio a dubbi: il cyberspazio è una soglia. Il confine davvero virtuale tra un ‘prima’ e un ‘dopo’.   O forse tra un ‘dentro’ e un ‘fuori’, tra ‘mente’ e ‘corpo’, tra ‘individuo’ e ‘società’...E la contrapposizione dei mondi potrebbe continuare come continua in “Confucio nel computer” (Nuova Eri - Rizzoli ) volume nel quale Colombo avanza appunto le sue inquietanti ipotesi.
Perchè accade che improvvisamente possiamo essere solo la nostra mente. Libera. Totale. Assoluta. Non importa più il nostro corpo o il nostro sesso; il luogo nel quale ci troviamo o i minuti che stiamo vivendo. Esiste solo il nostro pensiero che però può vivere di vita propria: davanti allo schermo di un computer, può dialogare o giocare, spiare o fare l’amore, creare o reinventarsi. Libera mente. ( E se annullate lo spazio tra queste due parole asseconderete un gioco che sarebbe piaciuto tanto ai futuristi di una lontana avanguardia, quanto a questi post-contemporanei ‘navigatori’, cybernauti davvero del nostro tempo ma senza tempo).
Luogo intatto, senza vita e senza morte, il cyberspazio sembra ‘regalare’ facilmente tutto, anche l’impossibile: il libro riassume storie di suicidi virtuali (per sottrarsi alla dipendenza delle Rete) e di resurrezioni (cybernauti morti, ma subito sostituiti - perchè in fondo chiunque può essere dietro alla stessa macchina - da qualcun altro nella ‘navigazione’); e ancora, di donne innamorate del riflesso elettronico di uomini che poi si rivelano essere, nel mondo reale, altrettante donne; o di ‘pensieri folli’ (come altrimenti chiamarli?) che celano la propria mostruosità dietro attenti meccanismi a garanzia  dell’anonimato.
Quali uomini allora ? E soprattutto quale società ? Colombo raggiunge le radici estreme del dubbio, paventa il suo annullamento (l’annullamento della società che da sempre conosciamo) proprio per il venire a mancare del suo elemento primo: l’individuo sociale.
Cita Jhon Dewey : “L’identità di un individuo è sociale dal principio alla fine. La società raggiunge il suo equilibrio quando un individuo si avvia lungo un percorso di autorealizzazione, e il frutto di quella autorealizzazione diventa disponibile a tutti attraverso quella ridistribuzione della ricchezza sociale che è il sistema educativo.”   E poi ricorda: “C’erano due guide per il comportamento efficace nel mondo del capitalismo democratico. Erano le voci di Tocqueville e di Jhon Dewey - riprende poi commentando la citazione - La parola chiave di questa affermazione è ‘comunità’, una parola senza la quale non si può descrivere il capitalismo di impronta americana. Fino a pochi anni fa.”
E Colombo continua insistendo così implicitamente sull’idea ineluttabile di soglia... “Dewey ha visto presto che il punto di frattura, quello in cui una società rischia di dissolversi, è nella separazione, apparentemente ragionevole, degli ‘opposti’: individuo-sociale, mente-corpo, natura-cultura, fatto-valore, oggettivo-soggettivo, scienza-religione.”
Nel cyberspazio accade questo.
Non tranquillizza più di tanto precisare che l’autore attinge ad una prospettiva (realtà?) molto americana: sappiamo che l’Oceano che ci separa dagli USA è un’onda breve quanto le idee. Più che mai ora, verrebbe da dire.  Perchè è forse il caso e il momento di fare un piccolo passo indietro.
Questa ‘memoria accidentale del futuro’ - così il sottotitolo del volume - nasce dalle conseguenze all’enorme sviluppo che ha avuto la Rete in America ( ma che così rapidamente sta prendendo piede anche da noi). La Rete, e cioè quella serie di possibilità, da Internet in poi, che ha offerto all’utente di computer una connessione globale ed in tempo reale, praticamente con tutti (o quasi) gli altri computer. E come in un gioco del quale si è perso il controllo, la ‘vita’ è cresciuta ‘dentro’ questo mondo virtuale come in un parallelo libero rispetto all’esterno. Troppo libero e troppo bello, aggiungeremmo però, tanto che come in una droga collettiva, molti, tanti (troppi) ragazzi (americani?), preferiscono rifugiarsi lì: e lì trovare tutto, dagli ‘amici’ alle notizie, dalla  musica al sesso o ai passatempi. Sempre più disinteressati e lontani da ciò che è ‘fuori’ ( il mondo vivo e dunque a volte brutto, doloroso, reale). Sempre più soli. Ed è in questo trionfo della solitudine, che insiste il grido di allarme di Colombo.
Ora, noi da un lato non conosciamo il confine della nostra mente. Dall’altro non conosciamo il confine del viaggio in Rete - scrive - Queste due entità indefinite, toccandosi  e mischiandosi, non possono non portare euforia, un senso quasi allucinogeno di potenza pura, dilatazione, esaltazione della mente. Esattamente ciò che  molti cercavano nella droga. Ma porta anche alla solitudine. E’ una solitudine che non percepisce più il suo limite e che crede di essere in contatto con il mondo.(...)Non si può rinunciare alla macchina ma non si può non sapere che il viaggio si compie da soli.”
L’inganno è nell’illusione (ma purtroppo nulla aiuta ad esserne consapevoli).
Non per nulla è virtuale questo spazio: virtuale il contatto e la parola. Col computer si può fingere di usare una tastiera lontana come si può fingere di essere in un bar...Insistiamo sul  fingere: si può fingere un’altra identità, fingere un altro tempo. Dunque dar vita ai fantasmi della nostra mente. Esempi di non-identità li trovate come detto, inquietanti, qui. Ma se non bastasse è appena uscito “Net@generation. Manifesto delle nuove libertà”, (Mondadori Ed.) scritto, se volete, da Luther Blisset. Se volete, perchè il nome è a prestito: nome collettivo per i viaggiatori che in Rete preferiscono l’anonimato. Se siano fantasmi fanaticamente votati a difendere i diritti alla totale ‘libertà’ del popolo ‘libero’ della Rete, o invece autentici rappresentanti del ‘nuovo’, decidetelo voi.
Colombo non esita a parlare di controcultura: figli dei ‘bit’ (ma dal sapore decisamente diverso dai figli dei fiori degli anni ‘60). O figli di Gates e di Negroponte, verrebbe da dire, ottimisti fino all’ultimo atomo (e il termine non gli piacerebbe) verso le nuove tecnologie. Opinione disinteressata ovviamente non è, quella che porta il Re Mida della Microsoft a guardare alla Rete come a “La strada che porta al domani” (così il suo libro), ma diventa addirittura fanatica nel ‘guru’ del M.I.T., Negroponte appunto, che non esita a catalogare i libri come atomi inutili (“Essere Digitali”) o ad affermare : “Ho sempre odiato la storia. E’ un bagaglio pesante e inutile.” Citazione ripresa da Colombo (lo definisce significativamente ‘predicatore di un mondo che non si presta alla discussione’), ma che rinvia anche all’affermazione di Riotta qui accanto.
La Rete sembra risolvere la fatica di crescere, illudere di partecipazione laddove è pilotata passività.
E’ come se la realtà fosse pesante, improvvisamente troppo pesante per l’uomo moderno. Pesanti le cose e il dolore, la bruttezza e il tempo, l’imperfezione e il caos. Gli altri.
E’ come se però, adesso, potesse dimenticarlo, e fingere di vivere ugualmente. Qualcuno gli ha detto che basta un computer. L’imperativo (che emerge dalla società di individui cui Colombo appartiene) è fare in modo che si chieda sempre se davvero lo vuole, se davvero è giusto, se davvero è così facile. L’imperativo è fare in modo che si chieda sempre ‘chi’ glielo ha detto.
E fare in modo che un computer resti solo un comodo, stupido, utilissimo computer. Poi, se volete, chiamatelo anche Hal.
                                                                 Rita Guidi