lunedì 6 maggio 2019

INTERVISTA A GUIDO CONTI di Rita Guidi


E’ indaffarato senza l’aria di esserlo, Guido Conti. Parcheggia lo scooter, si aggiusta il pullover, appoggia sul tavolo il telefonino, che per fortuna non squilla mai. Poi parla. Un’ora, due. Non guarda mai l’orologio. Rientrano anche queste, poco più che chiacchiere dalla cadenza nostrana, negli impegni che ha per i prossimi vent’anni.
Ecco : se c’è una cosa che sorprende in lui, nella sua aria tranquilla, addirittura comune (ma se questo suonasse come offesa, diremo da parmigiano doc, nella faccia e nei modi), è l’amicizia con la quale tratta gli anni. A decine. Perché ha questo progetto, appunto, di lavoro e di studio in un lungo futuro ; e perché scrive di racconti ambientati (invece) all’indietro, anche se è un lontano vivo e senza giorni.
Un tempo che è solo il contorno di un luogo : il territorio, questo territorio.
Ed è la nostra radice orizzontale, la pianura.
Scriverne, non è allora che seguirne la linea, diritta, dell’orizzonte. Proseguire, meglio, quel movimento eterno e ininterrotto che ne fa una somma irrinunciabile di memorie...
“La memoria è la vera contemporaneità - afferma sicuro - Non la città, non la metropoli. Mi sembra che ci sia questa sorta di equivoco che intrappola tanti giovani autori ; certo giovanilismo. La nostra società, la nostra realtà, è caratterizzata invece proprio da una stratificazione accelerata e violenta di generazioni. Un problema è allora di non perderne le tracce. Dare fiato a qualcosa che c’è, anche se nascosto dall’apparenza del nuovo.”
Questo è il suo progetto. Questi i suoi racconti. Anche i quindici de “Il coccodrillo sull’altare”, la raccolta che esce ora per i tipi della Guanda. Orizzonti rurali, il Po, storie perdute, metafore accese ; atmosfere surreali, oralità risvegliata dall’eco di un linguaggio che strizza l’occhio al dialetto. E dieci anni di lavoro dei suoi trentatrè. Perché lui, le spalle forti, gli occhi più scuri, è e vuole essere anche artigiano...
“Scrivere un racconto è come costruire un mobile - spiega - Non basta l’idea, occorre la tecnica, saper piallare, intagliare, cesellare...Io le parole le lavoro per anni. Non credo a chi scrive di getto. Credo molto invece ai laboratori di scrittura. Che non bastano per diventare scrittori, certo, ma per imparare la tecnica sì ; e il talento va guidato.”
Anche a lui è successo un po’ così : magistrali a Parma, Lettere a Bologna, seminario di lettura e scrittura del Professor Frasneli. E’ lui che lo spedisce da Tondelli, ed è Tondelli che gli pubblica un racconto su “Under 25”, nel 1990. (Anche se di fare lo scrittore l’aveva già deciso a diciott’anni, sia perché è l’età in cui bisogna pensare a quale strada prendere, sia per mille motivi : suoi, “spiega”...)
Poi qualche anno di silenzio...
“Ero fuori moda  -  sorride - Sempre per via della memoria - aggiunge - Giocavo anche allora la stessa partita di oggi, ed era, come è, diversa da quella che molte case editrici vorrebbero imporre.”
Come carte i ricordi, i racconti ascoltati dal padre, debito riconosciuto che definisce preziosa memoria viva (di nuovo) di una realtà scomparsa. Le sue storie padane e “fuori moda” nascono proprio così...
“Da vicende vere. Da immagini. - precisa - Ci sono immagini forti, che ascolto, che vedo, e che mi guidano la  fantasia e diventano il nucleo di ogni racconto. (Un coccodrillo nel Po...Un uomo, di nuovo sul Po, mangiato dalle zanzare...) Intorno a quella intuizione, poi, i personaggi e le situazioni si svolgono e vivono da sé. Perché ti devono prendere la mano, i racconti. E se la storia non è abbastanza forte, se tu non diventi uno strumento della scrittura, allora c’è qualcosa che non va, hai sbagliato tutto.”
Una sconfitta ai cento metri, aggiunge. Perché così è lo scrittore di racconti : lo scatto, non  la tenuta che deve invece avere un corridore di fondo, un romanziere. Ed è proprio quella pista breve che per Conti rappresenta la grande tradizione del ‘900 italiano...
“Ho letto da poco “La sirena” di Tomasi di Lampedusa, e “Casa d’altri” di Silvio D’Arzo, e sono due capolavori assoluti ! Ma amo molto anche Romano Bilenchi e Goffredo Parise de “I sillabari”...”
Buttiamo là un Hemingway (quello dei Quarantanove racconti), ma non è certo un suggerimento...
“Dopo la distruzione di Joyce - aggiunge - è lui che ha ricostruito la capacità di narrare, nel ‘900...Poi leggo e mi piacciono anche gli irlandesi...Frank O’Connor...Ma perché dobbiamo parlare di autori stranieri ?”
Torniamo a quelli italiani, allora. Crediti ? Debiti ?
“Il Battistero ! - afferma sicuro ; e quasi non ci sorprende : perché è certo quella, più che mai, un’immagine - C’è da imparare di più a guardare il Battistero - spiega - che a leggere tanti autori. C’è il romanico (quel che serve a fare critica letteraria), solido, semplice, scolpito. Un mondo padano. E poi la follia, padana anche questa, dello zooforo...”
La memoria della pietra contro la superficie della nebbia, che cancella. Svicoliamo, insistiamo : sempre debiti, ma del libro...
“Del libro ? “Morte sul Po” : è ispirato a un racconto di Zavattini raccolto da una donna di Luzzara ; l’ho ritrascritto immaginandomi il  finale. E “Il nano e la spilungona” : il titolo è quello di uno dei racconti mai scritti di Arturo Loria... I titoli sono importantissimi - riprende appena divagando - A volte bastano a farne un nucleo vivo, quella famosa immagine...”
Il coccodrillo sull’altare (e non altri), allora, perché per l’intera raccolta ?
“Perché il coccodrillo è il male (è il “drago” che in tanti quadri spesso la Vergine calpesta), e l’esorcismo dal male è l’elemento comune che credo trascorra in tutte queste mie storie.”
Anche per questo, logicamente, è anche “lui” (il coccodrillo) che illustra la copertina del libro. Non quello però, massiccio come una leggenda, che ha disegnato lo stesso Conti : un carboncino che srotola da sotto il braccio, e che vedete qui accanto. Perché, è evidente, anche questo fa.
A proposito, cos’altro fa ? Un po’ di cinema, un po’ di  musica, un po’ di tivù. Guido Conti è improvvisamente di poche parole. Un po’ di giornalismo, aggiunge. Anzi, ora non più, perché non gli offre lo spazio necessario ai suoi studi, al suo progetto culturale : sta preparando altri libri, sui grandi scrittori, le grandi personalità (e sono trenta, quaranta, ben più di quanto si pensi, aggiunge) che hanno nutrito e si sono nutrite di questa nostra pianura. Sta scrivendo altri racconti : uno, un po’ più lungo, uscira per conto suo, l’anno venturo, sempre per Guanda. Forse un romanzo.
Ecco cos’altro fa. Un impegno così, per i prossimi vent’anni.

                                    Rita Guidi