giovedì 17 gennaio 2019

IL SEGRETO DEGLI ALPINI (G.BEDESCHI) di Rita Guidi


  La montagna è muta di un silenzio 
necessario ad ascoltare il cielo. E lo è per forza perché il cielo è lì, ghiacciato e limpido, basta aggiungere un passo sul filo esatto del vuoto. Non tutti possono osarlo. Occorre l’umiltà di un cuore forte, un coraggio che fa rima con rispetto.
 Gli Alpini possono: Penne Nere intinte nel sangue di una storia che da soli hanno fatto grande. Forse perché quel loro prezioso silenzio se lo sono cucito a pelle, sotto la divisa. O forse perché quel loro segreto ha trovato una voce altrettanto limpida e intonsa: quella del sottotenente medico Giulio Bedeschi, 13^ Batteria, 3° Reggimento Artiglieria Alpina, Divisione Julia.
 Divisione Julia. Occorre aggiungere altro? Certamente sì. Queste pagine lasciate a metà o già pubblicate, ritrovate o ricordate, a quattordici anni dalla scomparsa del medico scrittore delle centomila gavette di ghiaccio. “Giulio Bedeschi – Il segreto degli alpini” (Mursia Ed., 248 pagg., 17,50 euro), allora, ridà voce alla memoria indelebile di uomini che sono stati uomini, e poi ci ridà la sua voce, quella dell’autore attraverso i ricordi incisi su un CD destinato a saldare, anche con i suoni, le distanze tra passato e presente.
 Ogni articolo un luogo, un distintivo, una trincea, le parole di Bedeschi compongono in questi frammenti il profilo intenso di uomini, protagonisti o eredi che siano, di una delle più drammatiche pagine della nostra storia. 
 Il cappello, allora? Ma certo. Simbolo irrinunciabile, personalissimo brano di panno infeltrito per rubare l’ombra al sole o il calore al freddo. Inseparabile Penna Nera anche nel nero destino che l’ha vista frantumarsi nella Penna Mozza di troppe storie. E poi i Canti, i raduni, e persino  quel bicchiere-luogo comune, spiegato nel suo orlo di verità: gaiezza e vita, mai oblìo eccessivo, nemmeno del più tormentato ricordo.
 Ma quale vino, anzi, ma quale acqua, dove le terre del Don si indurivano nel gelo dei 40° sotto zero? E quale vita, scavata in una tana per rubare alla morte qualcosa di più di un piede o delle dita? Eppure in quell’inverno di guerra del 1942-43, sul fronte russo, gli Alpini non smisero un istante di essere uomini. Scavarono un riparo profondo quanto la trincea tra le proprie esistenze, e così il loro silenzio divenne patto: segno di croce sotto le bombe, nella notte di Natale, davanti al cappellano; turni di sonno sottili come il panno e stretti come l’abbraccio che poteva salvarli dall’assideramento. E’ così che affrontano assalti e baionette, avanti con quel che resta della forza dei vent’anni e del sentirsi italiani. E’ così che avanzano, sotto lo sguardo rispettoso dei contadini Ucraini, scambiando per uova o latte sapone o medagliette. E’ così che tornano, pochi, ma tutti – vivi ancora o solo nel ricordo – figli dello stesso patto umano.
 C’è un bisogno assoluto di ricordarlo oggi, nella voce di Bedeschi. La necessità improrogabile di capirne il silenzio tra tutto questo frastuono. Come se fosse l’unico modo per trovare il passo giusto ad ascoltare il cielo, per non cadere nel vuoto.

                                          Rita Guidi