Sua eccellenza l’istinto. La personalità, la simpatia. Tutto
quello che sta in mezzo, tra mente e cuore, cognizione ed emozione.
Daniel Goleman la chiama intelligenza emotiva, definizione
che divenne titolo del precedente successo di questo prof di psicologia ad Harvard,
ma anche rinnovato argomento del volume che esce ora per Rizzoli : e cioè “Lavorare
con intelligenza emotiva”.
Perché l’autore insiste. Logica e razionalità ? Troppo
fredde, non bastano. QI elevato ? Un mito conseguente, non significa
nulla. Oggi (ma anche ieri) serve altro. E quello che serve somiglia molto alla
rivincita dell’ultimo della classe. Il collezionista di sei, paradigma peraltro
di qualche buon vecchio detto popolare, diventato leader maximo dell’azienda
nella quale lavora, da impiegato, l’ex-brillante sessanta-sessantesimi.
Perché ? Ve lo spiega Goleman. Bando a qualunquismi e
con dati alla mano. C’è tutta una storia, dice, dalla sua ; ed è storia interessante
non da poco, dal momento che riguarda gli ingredienti essenziali per la miglior
ricetta produttiva. E così, prima venne il taylorismo, inizio secolo : una
corrente destinata ad analizzare i movimenti meccanicamente più efficienti
eseguibili dai lavoratori. Il più bravo ? L’uomo macchina, of course. Poi
venne il QI, quel quoziente intellettivo misurabile con un semplice test, più
vicino a una realtà umana post-industriale. Ma limitato e limitante.
Soprattutto quando negli anni Sessanta ci si mise in mezzo Freud. Ma la data
fatidica è il 1973, quando David McClelland, docente di Harvard ( e di Goleman)
pubblicò un articolo (“Testing for Competence Rather than Inteligence”) che
spostò totalmente i termini del dibattito. Il dito puntato su chi, pur con un
ottimo voto di laurea, si ritrova magari a spasso, mentre quel simpaticone dal
mediocre QI è il capo che seguono e che vorrebbero tutti. Tutto perché lui ce l’ha.
L’intelligenza emotiva. Criterio base, oggi, per distinguere chi ha i numeri
per eccellere sul lavoro. La dimostrazione è qui, nel primo dei cinque punti
che scandiscono il libro. Un cocktail vincente, che mixa dodici capacità
specifiche, riassunte ed elencate nella seconda parte ; la terza destinata
invece a considerare le tredici abilità fondamentali nelle relazioni. Che non
sono poche. Ma se non le possedete tutte, la quarta sezione è organizzata
proprio in consigli su come affinare
almeno quelle, con tanto di esempi pratici nella quinta.
Attenzione però, perché come chiarisce lo stesso autore in
premessa, questo non è un libro di auto-aiuto. Un manuale per il leader
fai-da-te. Se ci fossero regole (razionali, logiche) da seguire, allora si
tornerebbe ai vecchi tempi del QI. Se ci fosse una formula, al posto di quella
sorridente creatività ed empatia, cui invece siamo chiamati dalle sempre più
variabili circostanze di lavoro, che intelligenza emotiva sarebbe ?
Rita
Guidi
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