Casa Barilli : Davide. Gambe lunghe quanto una dinastia.
Una sedia a dondolo che arriva da Cuba ed è un trofeo al desiderio sul quale è
difficile immaginarlo, sguardo quasi sempre vestito di nero, baffi seri da bel
tenebroso. E invece dell’anima, fogli : qualcosa di concreto per dribblare
quel tanto che si può le esigenze di un mondo cui non basta il pensiero.
Davide non pittore, allora, non artista o regista. Ma Barilli
autore. Scrittore. E giornalista : per amore e per caso...
“Qualcuno ha detto che o si nasce con il desiderio di fare
questo mestiere, o invece càpita - dice, tutto il tempo di lasciar cadere nel
posacenere un po’ di sigaretta - A me è càpitato. Ma comunque mi piace, mi
diverte. Ha pur sempre a che fare con la scrittura...”
Che poi è il suo mondo, da avaro di chiacchiere. Un esempio ? Questo “La casa sul
torrente”, raccolta di ritratti parmigiani ripresi dalla collana di interviste
pubblicate dalla “Gazzetta di Parma”, ora edito dalla Guanda ; più
racconti che domande. E questa intervista : più raccontata che reale.
Perché preferisce lasciar parlare le parole. Scritte. Perché da intervistatore
a intervistato è un silenzio diverso.
“Sono un pessimo intervistatore - spiega, comunque - Non
preparo le domande. Niente. La prima cosa che mi studio è la faccia, il luogo,
la casa. Preferisco osservare, divagare e far divagare. Allontanare dal centro
chi si sta raccontando. Cerco i rivoli. Un modo per sfuggire alla trappola
delle risposte preparate, scontate.”
Anche nella scelta dei personaggi, sembra sia andata così.
Vite lontane dall’epicentro assoluto del Battistero. Parmigiani, ma apolidi...
“Mi interessavano persone un po’ spaesate, parmigiane per
modo di dire. Persone segnate da un destino (che so ? La Pariset,
trasformata in icona da una foto per caso) ; o anche il senso della fuga.
E dunque Parma, ma in viaggio, che si muove. E come luogo di ritorno, prigione,
o nascondiglio.”
Più cornice che città ?
“Forse. Come forse, a volte, Parma è una cornice. In certi
casi dorata, rococò. In altri poverissima, di legno di pioppo...ma dentro ci
sono delle pennellate, degli abbozzi di storia.”
E ci tiene, a questo termine...
“Di storia, sì. Anche per questo, più spesso, ho intervistato
persone anziane. Quelle che hanno più cose da dire e meno speranza di essere
ascoltate. Parlare con chi ha ballato guancia a guancia con la Dietrich o che è
un vero poeta anche se non ha mai pubblicato una riga, significa allora
sfuggire una certa idea di contemporaneità. Mettere da parte la caccia alla
notizia (che però è fredda, senza storia) e ascoltare le storie (la storia),
che forse è senza notizia ma non senza traccia.”
Il tempo della pazienza contro quello della fretta, conclude.
Lo stesso che ha cercato lui, davanti alla tastiera...
“Le ho scritte di notte - sorride - Queste interviste le ho
scritte tra le una e le cinque del mattino. Una questione per cui avevo bisogno
di star solo. Almeno fino all’arrivo delle donne delle pulizie...”
Qualcosa che avrebbe cambiato ?
“Forse avrei preferito trasformare il discorso diretto in un
racconto, ma le avrei snaturate.”
Qualcosa (qualcuno) che gli è riuscito un po’ meno?
“Paola Pitagora. Non l’ho sottratta più di tanto a un
racconto fatto altre volte. Insomma, è un’attrice...”
Qualcosa (qualcuno) che gli è riuscito di più ?
“Il pittore Benassi. Nel senso che è stato una scoperta,
un’emozione. I suoi quadri strani, di donne svasate ; il luogo quasi
clandestino, una chiesa sconsacrata...Mi
è piaciuto il suo candore.”
La parmigianità che ne è emersa ?
“Spero non quella scontata, stereotipata. Luigi Malerba,
molto tempo fa, scrisse in un racconto di una Parma vuota , nella quale dal
cemento affiorava un rumore di fondo. Un battito. Per me la parmigianità è
questo battito”
Qualcosa che ripara, un profumo un quadro un suono, dalla
luce troppo forte o troppo finta della città. E che pulsa nelle persone prima
ancora che nei personaggi ; anche in quelli che non è riuscito a
intervistare (Ubaldo Bertoli, Roberto Tassi...in un modo o nell’altro
irraggiungibili). Ma che c’è e c’è in tutti...
“Tutti questi nomi, tutte queste voci, mi hanno fatto capire
che per ogni vita non esiste la parola fine - ricorda - Forse perché raccontandosi,
era come se mi parlassero di qualcosa d’altro da sé. Qualcosa che stava loro
accanto, come un’ombra.”
Dalle finestre su Piazzale Santa Croce, oltre il profumo d’incenso,
si intravvede ora il riflesso dei lampioni :
“Del resto- conclude - parlare di sé è un po’ questo : parlare
di un’ombra.”
Rita
Guidi
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