Confine sull’acqua
che asciuga una realtà a vista. Il sempre dei giorni contro quel tutto che le
sta intorno, vive il ticchettio degli uomini, con la loro eterna fatica di
esserlo, ma appena oltre ha il mare. Quello che dà la vita o la morte, e la
libertà di sognare fino alle favole, e che si riflette nelle stelle.
Si svolge lì, il bel romanzo di Giorgio De Simone che esce
ora per la Sellerio : “L’isola dei pantèi”, intenso e breve come
un’emozione. Troppo attuale per essere
una fiaba, ma troppo aperto al simbolo e alla fantasia per non appartenervi, la
lettura affascina proprio per questo.
A partire dalla prima pagina e dal titolo : in una
parola da Ferdinando. Perchè è lui il (co)protagonista di questa antica vicenda
d’oggi. Ferdinando è un pantèo. Esemplare maschile di una razza a metà :
né cavallo né asino.
“Per le orecchie
lunghe, gli zoccoli stretti, la coda lunga e la criniera breve, lo dici un
asino - scrive l’autore - Ma le forme
robuste, il bacino muscoloso, le grandi cosce, il pelo folto e lucente ti
mettono di fronte a un cavallo.”
Pantèo, quindi. E non solo, ma l’ultimo. Prezioso compagno
fino all’esserne ragione di vita, per Michele, maestro elementare dell’isola di
Cossyra.
L’isola : mediterranea e selvaggia, come i silenzi dei
suoi abitanti, è appunto un’isola. Società dagli istinti dilatati e, in queste
righe, siciliana d’accenti, amplifica subito dal bene al male ogni possibile
novità. Il denaro, ad esempio quello che il prezioso Ferdinando può
rappresentare, invita presto a sconvolgerne i naturali equilibri ; irrompe
tra legami ed amicizie. Innanzitutto tra quella che lega i nostri due :
Michele, che parla e guarda e scopre i confini dell’isola insieme a Ferdinando,
e il pantèo che ricambia, forte dell’appartenenza a quella estinta stirpe, con
obbedienza e affetto.
Nell’isola nessuno ha visto, nessuno ha udito, nessuno sa
perché è scomparso Ferdinando. Piccola e muta, Cossyra non ha guardato né
guarda verso il mare.
Inizia qui la ricerca, inizia qui il dolore, il desiderio, il
sogno, tracciato con gli occhi di un uomo come con quelli di un antico puledro.
Ricomincia da qui il libro. E De Simone
mantiene lo stesso timbro semplice, con echi dialettali, ma rintraccia con
forza umori ancestrali, suggestivi e toccanti.
Il pantèo pensa, il pantèo parla, il pantèo ama, e dunque
soffre. Ma lo fa come in un c’era una volta ; come i pantèi che c’erano
una volta...
“Noi non siamo cavalli.
I cavalli amano con furore, noi con dolcezza - sussurra a Ferdinando la sua
splendida compagna - ed è per questo che
la nostra razza si estingue. Noi per unirci in amore dobbiamo avere tutte le
condizioni favorevoli. Per noi l’amore è qualcosa che si conquista, non
qualcosa che si possiede..”
E dev’essere un amore senza malinconia. Di quello che in giro
non ce n’è tanto. E pochissimo ne può contenere una piccola isola, stretta
attorno al rincorrersi lento degli uomini. La fiaba, insomma, la loro e la
nostra, deve fare sempre i conti con la realtà.
Ma per fortuna intorno c’è anche il mare. Quello che dà la
vita o la morte, e la libertà di volare fino alle favole, e che si riflette
nelle stelle.
E Michele, come Ferdinando, certo, e come tanti di noi, è uno
di quelli che ancora ci crede, che ancora le guarda.
Rita
Guidi
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