Morde la mela della tranquillità, la domanda di Maurizio
Bettini. Paradossale ossessione dell’indovinata raccolta di racconti che ora
pubblica sotto il titolo, ovvio e intrigante anche lui, “Con i libri” (I
coralli di Einaudi) ; un esordio
narrativo, dopo altra produzione
saggistica (Bettini è docente di Filologia classica all’Università di
Siena e collaboratore di Repubblica).
Cosa ci si deve fare, quindi, con i libri ? No, perché
il problema è una cosa seria. Serissima, proprio, quanto quell’antico peccato
da cui origina e che la precede : e cioè la lettura. Splendida, pericolosa,
infida, irrinunciabile, è una vera trappola. Quella che ci fa cadere l’occhio
sul più classico “scemo chi legge”... ma anche molto di più. Perché ?
Primo esempio, prima storia : una mela rotola sotto gli
occhi di Cidippe, giovinetta pellegrina al tempio di Artemide, la dea
dell’amore. Mela fatale e fatata, perché incisa porta una scritta :
“Giuro, per Artemide, di non sposare altri se non Aconzio”. La parola è letta, la trappola scatta, il
giuramento compiuto.
E’ un po’ come succede
per la pubblicità, rincara Bettini, e l’unico modo per sottrarsi a questo che è
il seme di tutte le scritture astute, sarebbe non leggere.
Ma questo è possibile ? Per (s)fortuna no.
L’occhio cade involontario, obbediente, inesorabile, e diabolicamente ci lega a
quelle righe.
Diabolicamente forse no. In qualche pagina che ancor più di
altre diverte d’ironia, Bettini inventa un incontro in metrò con belzebù.
Povero diavolo analfabeta : ancestralmente abituato a quella tradizione
orale che intrappolava (pure lei) angeli caduti e non.
Tra i tanti piaceri, quello della lettura quindi non può
essere suo. Piacere lontano o comunque irraggiungibile per tanti. Per Alma e
Aadan, ad esempio, protagoniste di un altro paio di racconti e per le quali i
libri sono solo un ricordo e un sospetto : una infatti non ha più occhi
per leggere e l’altra non ha mai imparato.
Desiderio interrotto, seppure momentaneamente, anche per
l’autore : “Per tutto il tempo in
cui ho continuato a scrivere queste storie - spiega infatti in premessa - non mi è stato possibile leggere, o
sfogliare, se non pochi libri (...) Non ero in grado di alzarmi e di andarmeli
a prendere. Quante volte ho pensato a tutti coloro per cui i libri sono sempre
e irrimediabilmente fuori mano...”
Che ci fai, tu, con quello che leggi ? Le risposte
cominciano allora qui. E la biblioteca diventa quella di Esculapio, della quale
“non solo i libri di medicina ma anche tutti gli altri fanno parte”. Ambrosia
delicata e suadente. Sollievo senza vecchiaia né tempo, se non ci abbandoniamo
all’errore di “dimenticare” fiori, anziché un appropriato segnalibro, tra
quelle pagine. Occasione d’amori, sognati, scambiati o vissuti. E invito allo
specchio di una stessa felicità : e cioè la scrittura.
L’ultimo racconto, per questo, ricuce le distanze, se mai ne
esistono, tra l’inchiostro e lo sguardo. E’ dedicato ad Ovidio, alla sua vita
scritta, alla sua voce scritta.
“Che hai ragazzo ?
- scrive Bettini - Gli dicevano i vecchi
quando lo vedevano arrossire al passaggio di una fanciulla. Sei
innamorato ? Subito il precettore lo prendeva per mano e lo trascinava a
casa. Ecco le tavolette, ecco lo stilo, gli diceva, scrivi se vuoi capire cosa
provi. Scava la tua via dentro i tuoi sentimenti scrivendoli in tante parole
rapide e ordinate. Devi scriverti Ovidio. Altrimenti come potrai pretendere non
solo di amare ma addirittura di esistere ?”
Con i libri è anche vita, allora. Fino alle soglie di un oggi
in cui la luce delle parole è sempre più
spesso spenta dagli schermi effimeri dei computer.
Forse. O forse, invece, come ci sussurra l’autore in queste
ultime righe, con quello che leggiamo entriamo a far parte di una incessante,
irrinunciabile, inesauribile, eterna magia.
Rita
Guidi
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