Di corsa
dal medico, aveva accettato con piacere di assumere una davvero particolare
medicina : “Hai guardato i quadri troppo da vicino - gli aveva infatti
diagnosticato - Perché non li sostituisci con vasti orizzonti ?”
Bruce Chatwin iniziò quindi “necessariamente” a viaggiare.
Sollievo a un’inquietudine negli occhi, che gli scottava già addosso ad
iniziare dal nome.
E del suo sguardo (mai) fermo, di quel che gli altri vedevano
di lui, ma anche di quanto era nascosto dietro ciò che voleva e lasciava vedere
loro, parla ora il volume che Susannah Clapp, sua editor ed amica, pubblica (in
Italia) per Adelphi : “Con Chatwin”.
Per cesura ideale proprio quell’emblematico episodio, il
libro come la sua vita (e la sua morte) gli ruota attorno : dal prima, e
dunque dall’universo londinese che lo vedeva giovane certezza di Sotheby’s, al
dopo dei luoghi e della Patagonia. Per direzione i sentieri che potevano farlo
sentire libero delle proprie contraddizioni.
Bello ben più di
quanto le foto riescano a rivelare, esteta dall’impeccabile “divisa” cachi e
dallo zaino fatto a mano, irresistibilmente e insopportabilmente più giovane di
una decina d’anni rispetto a quelli che realmente aveva, questo scrittore di
libri di viaggio che non sopportava di essere chiamato così, è qui osservato
come in uno specchio segreto. Più un caleidoscopio, però, che una galleria di
ritratti dello stesso soggetto. Perché Chatwin, insomma, era Chatwin, uguale sia
per chi lo apprezzava che per chi lo disprezzava. E cioè l’occhio infallibile ed esigente,
nell’arte come nel più spoglio paesaggio, e il bisogno indefinito di un tutto,
da setacciare dell’inutile, però, ad ogni riposo, ad ogni ritorno. Per questo
conservava nella ricercatezza delle sue mille abitazioni, solo poche cose (un
oggetto, anche solo un taccuino) di quel tanto che andando aveva conosciuto ; e magari se ne
liberava, poi, per trovare di nuovo un più ascetico ed estetico equilibrio. E
per questo la sua fissazione nomade, doveva fermarsi troppo a lungo nelle
dimore vicine o lontane della moglie o dei molti amici. Ma soprattutto, per
questo doveva chiacchierare. Perché le parole vanno e non restano, se non nel
ricordo o nel racconto scritto, setacciato anche quello però, come testimonia
qui la Clapp. Conversatore instancabile, Chatwin superava con la fantasia quell’orizzonte
dove si fermavano invece i suoi occhi viaggiatori. Ma era immaginazione
autentica, ovviamente. Occhiali di una verità sua. Medicina necessaria.
Rita
Guidi
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