Il suo e’ un sogno di quelli che costano : qualche
ettaro di paradiso in terra di provenza. Saint Tropez versione campagna, con
quella luce bella come la pazzia di chi l’ha dipinta ; e pini ombrosi con
una chioma grande di secoli.
Ma a Dominique Lapierre piace sognare fino alla
testardaggine. Il celeberrimo autore de “La città della gioia”, allora imberbe
cronista di “Paris Match”, scova l’unica occasione vicina alle sue tasche.
Pendolare da Parigi alla costa in orari impossibili, per strappare un accordo
al proprietario quando, più o meno attorno all’alba, è ancora sobrio, Lapierre
lo ottiene pronosticando nuovi buchi alla cinghia e anticipi d’un paio d’anni
sullo stipendio.
“Le Grand Pin”, questo il nome che darà al suo acquisto, lo
merita. Sponda accogliente, e sua più vera casa, tra una valigia e l’altra del
suo peregrinare per il mondo a caccia di uomini e notizie.
Di questo, (e di questo suo essere sempre un inviato, davvero
molto speciale, aggiungiamo noi) parla nel suo ultimo libro “Mille soli”
(Arnoldo Mondadori Editore, 489 pagg., L.32.000). Una straordinaria cronaca
professionale ed esistenziale, in cui alterna e intreccia ricordi di reportage
e di storiche interviste con vicende personali.
L’appuntamento, però, un capitolo dopo l’altro, è sempre
quello : “Le Grand Pin”, filo rosso della sua memoria di uomo e di
scrittore.
La tenuta in provenza, del resto, nata sul retro di una Saint
Tropez dei tempi non sospetti, cresce col consumarsi del suo inchiostro. Perché
all’inizio, quello del giovane giornalista è solo un piccolo “mas” che
sostituisce la cascina diroccata dell’acquisto. Tre piccole stanze in cui
Lapierre e l’amico e collega americano Larry Collins, col quale dà vita a un
ininterrotto sodalizio, ammucchiano la documentazione per il loro primo libro e
primo successo : “Parigi
brucia ?”. Ma da allora
crescono : “Un giorno ci sarebbe
stata la sala da pranzo “Alle cinque della sera” - scrive infatti Lapierre,
ricordando il battesimo delle stanze per ogni successo editoriale - il salotto “Gerusalemme, Gerusalemme”, la
camera con terrazza “Stanotte, la libertà”, e perfino la piscina “Il quinto
cavaliere”.”
Cronologia perfettamente utile anche allo snodarsi di questo
suo ultimo libro. Le prime tappe sono infatti a Parigi, tra i suoi ricordi di bimbo
e poi di soldato, e con l’emozione della nascente amicizia con Larry.
La Parigi assediata e minacciata dalla follia nazista, la
città densa dei suoi primi ricordi, diventa infatti occasione, diciannove anni
dopo, dello storico incontro con il generale che disobbedì a Hitler dall’ordine
di distruggerla. Parigi non bruciò per decisione di Dietrich von Choltitz, il
pensionato tranquillo che Larry e Dominique intervistano, già pensando a farne
un più lungo racconto.
E tutto è avventura, in questo giornalismo : nel
raggiungere i personaggi, come nell’indagarne i pensieri. Con maestria,
Lapierre garantisce emozione in punta di penna. Autentica quanto quella che
deve aver provato incontrando Caryl Chessman, condannato a morte per dodici
anni ad un passo dalla camera a gas ; o inseguendo lo sfrontato trionfo di
coraggio del Cordobes, l’insuperato mito delle corride di Spagna. Criminali o
eroi, folli sognatori o pedine della storia, di tutti Lapierre rintraccia la
forza inaudita di uomini. E vi intesse la propria.
Poi, come un’oasi, “Le Grand Pin”. E “Pom du Pin”, la
splendida cavalla andalusa che strappa per quattro soldi al macello. Faticare
al galoppo, può calmare lo spirito da mille pensieri.
Mille. Come i soli,
che però ci sono sempre al di là delle nuvole.
Proverbio indiano, questo, che ispira evidente il titolo. Traccia prima
e costante di quell’altra scoperta che segnerà la sua professione e la sua
vita.
L’India, cui va incontro con il bagaglio di sempre (nella
fattispecie un taccuino da intingere nella storia ascoltando Indira Gandhi), sarà
infatti più di ogni altro Paese esperienza esistenziale, terremoto dell’anima prima
ancora che reportage.
Epicentro Calcutta : ma cancellatene il simulacro che ne
rimbalza muto dai tiggì d’Occidente. Quella città che le immagini ripetute di
tante tragedie hanno trasformato ai nostri occhi in un inferno virtuale,
lontano e irrimediabile fino alla noia per le nostre coscienze, ritrova una
dimensione autentica (la sola possibile), nella cronaca di Lapierre. L’autore
de “La città della gioia”, è toccato come da una stimmate da quel luogo totale :di
sofferenza e povertà, umanità e sorrisi.
E’ quella la città di Madre Teresa, più volte ricordata in queste pagine, e citata
nella sua essenziale filosofia : “...La
vita è una lotta, accettala / La vita è una tragedia, affrontala corpo a corpo
/ La vita è un’avventura, rischiala...”
E’ quella la città che una volta attraversata ( ci piacerebbe
scrivere, pensata) restituisce equilibrio e consapevolezza, aiuta a riconoscere
i nostri privilegi, impone il ricordo di chi non può condividere la nostra agiatezza
e felicità.
“La vita è felicità,
meritala / La vita è bellezza, ammirala...” Il sognatore Lapierre non
acquisterà mai una delle Rolls Royce cui guardava con occhi appassionati di
bambino ; la tenuta di “Le Grand Pin”, l’abbiamo detto, basterà ad una sua più adulta soddisfazione.
Fino a quell’altra, ancora più grande, di disfarsene : “La difficile decisione di vendere il Grand
Pin per liberare altre risorse necessarie a proseguire la nostra azione
umanitaria in India - scrive infatti Lapierre - si è concretizzata senza troppa sofferenza.”
Il perché è racchiuso in quell’altro sogno che adesso insegue
( “La vita è un sogno, fanne realtà”
) : trasformare in una solida fondazione quella “Action pour les enfants des lepreux de Calcutta” le cui mille attività per i più piccoli e
più poveri dei poveri poggiano ora sulle sue sole spalle.
Un sogno per il (loro o nostro ?) futuro, insomma. E’
sempre stato testardo : c’è da giurarci che ce la farà.
Rita
Guidi
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