Il lupo mannaro indossa scarpe da tennis e lunghi artigli,
nelle notti di luna piena. Inconsapevole e dannato, strazia i corpi delle sue
prede seminando un panico sordo e leggendario nel piccolo paese in cui vive...
Storia di licantropi, insomma, questo “Cacciatori di notte”
di Filippo Tuena ((Longanesi & C., 233 pagg., L.26.000). Eppure romanzo
assai più che giallo. Eppure intriso di echi ancestrali ( e rurali) assai più
che disposto a scivolare nell’orrore gratuito di tanta gratuita letteratura di
oggi.
Perché il perno di questo narrare è su ciò che si è stati, si
è, e si diventerà. Anamorfosi esistenti. Oggetti del tempo. Sullo scorrere,
appena tangibile ma inesorabilmente e profondamente misterioso della apparente
realtà.
“C’è un tempo per la
sera alla luce delle stelle - recita non a caso la citazione introduttiva
dai Quattro Quartetti di Eliot - Un tempo
per la sera alla luce del lume (La sera che si passa con l’album delle
fotografie”
E dalla foto di una zia (dimenticata ? mai
conosciuta ?), e dal suo lascito “post mortem”, prende il via la
narrazione. Pendolo fisso, da quell’istante, su di un’altra vicenda che, con
quell’esatta casualità di cui è capace il caso, diventerà il nucleo primo del
libro.
Storia più antica, ma non troppo, di quanto accadde in un
piccolo luogo di mare, vicino Roma. Come in ogni piccolo paese, i segreti e le
bugie, come in qualche paese, la morte. Violenta e irrisolta, trascina a se’ un
cacciatore di notte, un uomo il cui nome è legato alla fama di chi guarisce i
licantropi, chè quello, pare, è il terribile marchio dell’assassino.
La caccia è dunque verso quella metamorfosi orrenda,
attraverso lo scorrere gradevole e consueto di una lunga serie ben ritratta di
personaggi. Ma il fascino e la peculiarità del libro è nel riflettere sulla
metamorfosi stessa. Sul crocevia continuo di passato e presente (e futuro)
evidente nel volto di tutti.
Questione di tempo, insomma. Anamorfosi : è questo
infatti il genere di dipinto (un Dorian
Gray rovesciato, un ritratto che “prevede” l’immagine futura del volto di una
persona) su cui opportunamente e curiosamente si raccordano le due vicende
interne al romanzo. Non a caso arte, materia della quale, del resto, lo stesso
autore è esperto.
Certamente anche per questo, in un dialogo della vicenda, si
ricorda Picasso e il suo ritratto di Gertrude Stein. “Non gli somiglia ? -
si racconta abbia detto Picasso a chi glielo rimproverava - Non importa. Prima
o poi sarà Madame Stein che finirà per assomigliargli.” O Rembrandt, che si
inflisse (sì, si inflisse, come ripete sulla pagina l’autore) un’estenuante e
impietosa serie di ritratti.
Questioni di tempo.
“Davvero - fa dire Tuena
al protagonista verso le pagine conclusive del libro - far professione di memoria è inventarla, proiettarla nel futuro ?
...Si. C’è un tempo per il mistero di quel che ci attende e un tempo per il
mistero di quel che abbiamo vissuto...”
Il racconto raccontato, una delle due vicende del libro,
invade, alla fine, la scrittura presente ; ieri e oggi si toccano, il
cerchio si chiude. E’ solo questione di tempo, perché sia di nuovo tempo di
caccia.
Rita
Guidi
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