Errata corrige, e proprio in copertina.
A questo piccolo,
grande libro di Alessandra Arachi che esce ora nella collana ‘Onde’ di Feltrinelli
(126 pagg., L. 12.000) manca davvero un apostrofo.
Perché “Unico indizio :
la normalità”, si legge. Ed inizia
da questo difficile postulato, il denso collage di racconti dell’autrice, il
reportage del suo lontanissimo viaggio.
Un viaggio a Sud : nell’Italia a Sud dell’Italia. E’ questa la dichiarata (sempre in copertina)
direzione. Nessun errore stavolta. Un “quasi sbagliato”( ! ! !)
desiderio di risposte e spiegazioni, però, questo sì...
“Perché in paesi come
Oppido Mamertina o Gioia Tauro o Varapodio - scrive la Arachi nel suo
tentativo di prefazione - il buio
nasconde davvero gli uomini neri e cattivi e per vederli i bambini non hanno
bisogno di aspettare gli incubi della notte e, spesso, neanche la notte ;
e la verità è che senza una buona dose di incoscienza non soltanto non sarei
mai potuta arrivare davanti alla croce sui piani di Zervò, ma non avrei potuto
percorrere che poche decine dei miei ottomila chilometri.”
Ottomila chilometri per andare lontano ; per guardare
dietro l’inchiostro asciugato in fretta delle brevi di cronaca del suo giornale
milanese (la Arachi è una giornalista del Corriere). Soprattutto dietro a quel
sangue che asciuga ancora più in fretta nelle sommarie spiegazioni di
inspiegabili suicidi ; a quegli attimi di inconcepibile follia e invocata
depressione che forano il cervello a giovani uomini e adolescenti, sterminano
nel sonno tranquille famiglie.
A Sud. Ma non pensatelo solito : le grandi questioni, le
grandi tragedie, le grandi immobili ingiustizie, ci sono, sì. Ma da un’altra
visuale. Quella che procede sulla “milledue” dell’autrice, che salta ben oltre
un gradino più su di uno stile da “nera” ; tra tornanti impossibili, o superstrade
deserte, sul nulla. E la gente lo sa e lo accetta.
Sui tornanti del Vallo di Diano, in Campania, ad esempio, la
Arachi (come tutti prima o poi) si è fermata contro il guard-rail. Normale.
Come il fatto che ogni tanto qualcuno scivoli da questi dirupi, tentando di
recuperare un pallone (visto che il campo di calcetto è proprio su, in alto) o
per chissà quale altra disattenzione. Anche morirci è normale, visto che l’ospedale,
a Sapri, è molto molto lontano.
Nessuna vicinanza sarà comunque mai utile a chi, come il
piccolo Pasquale, non ha voluto aspettare neanche i quindici anni per decidere
che no, quella realtà non gli sarebbe mai potuta sembrare normale.
E’ il primo racconto e il più struggente. Doloroso anche di
più degli altri che sempre, comunque, zittiscono ogni spiegazione con un colpo
in gola o sulla fronte. Tremendo quanto l’ultimo, che annulla finalmente nell’assurdità
di un’inspiegabile strage in famiglia, qualsiasi pretesa di silenzio.
Unico indizio l’anormalità : restituiamo, allora, alla
realtà il suo titolo corretto. Non fosse
mai che anche un solo apostrofo diventasse l’ennesima giustificazione.
Rita Guidi
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