giovedì 21 marzo 2019

SAREMO COLONIA? (P.OTTONE) di Rita Guidi


Gli studiosi del Rinascimento l’hanno 
definita “politica dell’equilibrio”. Tutto fuorché positiva, era quella situazione perversa, per cui nessuno dei piccoli e più o meno valenti e agguerriti staterelli italiani del Cinquecento, riusciva a prendere il sopravvento sugli altri.  Risultato ? Nessuna Italia ; e i suoi tanti frammenti pronti ad essere facile preda delle più solide potenze d’oltralpe.
Ed è esattamente questa l’immagine che affiora inevitabile, dopo aver letto il volume di Piero Ottone “Saremo colonia ?”, che esce ora per i tipi della Longanesi & C.
Saremo colonia ? Quante nostre aziende diventeranno straniere ? Anche la FIAT non sarà più italiana ? La questione, oggi, è evidentemente economica, ma il quadro non cambia. Per una sorta di disastroso equilibrio, non appena una compagnia acquista il peso sufficiente per tentare una qualche più ambiziosa scalata, emergono ostilità vicine e, spesso, prevaricatori lontani. L’Italia è frammentata, le potenze straniere sono solide.
Stessa storia per diversi sovrani. Perché non c’è nessun dubbio che gli imperi di questo nostro fine secolo siano finanziari, e che i re del nostro tempo siano i manager e i capitani d’azienda. “...Sovrastano tanto i monarchi superstiti - scrive a chiare lettere Ottone - oramai ridotti a funzioni puramente rappresentative, quanto gli uomini di governo, destinati a brevi periodi di gloria e ad avvicendamenti continui : i governanti hanno breve durata. I “tycoons” e i grandi “managers”, i capi d’impresa sono i veri protagonisti della nostra era.”
Per confine, insomma, non più il profilo rosso che racchiude il territorio, ma il grafico (meglio se di un altro colore...) del bilancio. E il punto è questo. Il problema è questo. Saremo colonia ? L’Italia, in nome del profitto e del capitale, sarà assorbita dai potentati finanziari stranieri ?
Piero Ottone se lo è chiesto, e soprattutto lo ha chiesto a loro, ai manager di casa nostra. Quegli Agnelli e Romiti, De Benedetti e Pirelli che nulla hanno da invidiare, quanto ad esperienza e potere, ad altri. Salvo l’ambiente : e non suoni banale, offensivo, superficiale o qualunquista. Ottone, con la consumata pacatezza di un osservatore (più che di un giornalista...) e un’altrettanto tranquilla (e impertinente) aria sorniona, indaga, esplora, deduce ed evince dai fatti diverse e difficilmente contestabili considerazioni. Più o meno amare, più o meno contraddittorie, o meglio, frutto delle nostre storiche, italiane contraddizioni.
La prima è appunto sull’ambiente : il nostro Paese sembra essere vaccinato al capitalismo. E’ presente allo stato latente ma non si diffonde.
E’ difficile fare l’imprenditore in Italia - fa dire Ottone a Romiti - perché l’imprenditore è costretto a muoversi in un paese nel quale le varie istituzioni, le varie componenti sociali gli sono ostili ; e gli sono ostili non per animosità personale, ma perché all’interno delle istituzioni non si capiscono i meccanismi dell’impresa, così come non si capiscono le leggi dell’economia di un sistema capitalistico.” “All’origine della nostra debolezza - rincara De Benedetti - è la mancanza del mercato : il rifiuto delle leggi del mercato.” (Insomma : “Il profitto è peccato, la tangente è permessa”, sintetizza senza mezzi termini Ottone).
Quindi : facile essere colonizzati, meno facile diventare europei. Prospettiva velata da un cauto ottimismo per gli intervistati, e largamente dubbiosa per l’autore.
E che conduce alla seconda considerazione : quella dell’identità nazionale. Perché se mercato globale deve essere, che lo sia. Ma che non offenda, non trascuri, non uccida la cultura. Chè questo sì vorrebbe dire essere colonizzati... “Si diventa colonia quando si perde la propria identità - conclude Ottone - e si accetta lo stato servile.”
Ed è una superiorità, quella della cultura, accettata e condivisa dagli stessi sovrani di questo nostro contemporaneo potere. Per questo accetterebbero la presenza di multinazionali o privatizzazioni a patto che la sede (la testa...) di quell’eventuale azienda rimanesse in Italia. Per questo sottolineano l’importanza del know-how, della ricerca. Per questo parlano esplicitamente di scuola.
La nostra debolezza, insiste l’autore, è nel ritardo culturale. E ricorda una celebre battuta. “A chi si meraviglia - scrive - del fatto che il management della Continental non sopportasse la prospettiva di passare sotto il controllo di italiani, qualcuno ha malignamente chiesto : sarebbe piaciuto al management della Pirelli la prospettiva di passare sotto il controllo dei Turchi ?”
A quanto pare la geografia, e Agnelli, ci assegna un posto a sud dell’Europa : “Se si faranno gli Stati Uniti d’Europa - afferma l’avvocato - possiamo immaginare che cosa saremo : saremo la Florida della futura federazione.”
Solari, individualisti, fantasiosi, ricchi d’imprenditorialità : gli italiani sono, come nel Rinascimento, certamente anche questo. Speriamo che, riguardo al barocco prossimo venturo, intendesse dire che non mancheranno i cartelli contro gli alligatori...

                               Rita Guidi

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