Ma nessuno pensa
ad un dolore nell’ammirarne la bellezza.
Salvo Karl Jaspers : è stato lui, il padre della
psicopatologia, a dare continuità e a definire così questi due mondi.
Creatività e disequilibrio hanno trovato, dopo di lui, un punto d’incontro sul
crinale del colore, dei suoni, della parola...
“Già il Lombroso aveva
collegato l’espressione geniale di Goethe o del Vico, del Tasso o di Newton,
con sofferenze di tipo psicotico depressivo - ci spiega il Professor
Corrado Bizzarri, Direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’USL di
Parma - Ma è stato Jaspers a riprendere
gli esempi di Nietzsche, Holderlin, Van Gogh. Produttori di un’espressione
artistica così vitale, da farne certamente dimenticare la possibile radice
schizofrenica...”
Solo “possibile”, immagino...
“Certamente. Dietro
alla creatività, e aggiungerei alla genialità - non esita Bizzarri - non deve necessariamente esserci la follia.
Anzi. La maggior parte degli esempi di personaggi altrettanto grandi che
potremmo fare, ci condurrebbe ad un universo sostanzialmente sano...”
Perché sostanzialmente ?
“Perché non è invece
difficile incontrare in loro episodi anche frequenti di malinconia e
depressione. Ma certo siamo su tutt’altro livello...”
L’inquietudine è assolta, insomma. Ma l’allegria : è
allora così allergica all’ispirazione artistica ?
“Allergica non so, ma
certamente più rara - afferma Bizzarri - Se esiste una produzione che si dice essere condizionata anche dall’uso
di droghe (dunque ad uno stato di benessere, perché l’autodistruttività
conseguente è inconsapevole), sarà
più spesso la paura, che so ?, della morte, a produrre il desiderio di
sublimarla.”
Terapia dell’anima. Come, per qualcuno, terapia della
mente : è il caso dell’autrice del volume recensito qui a fianco, “Le
stelle di Van Gogh”, che racconta dell’arte usata come ultimo
linguaggio per superare “l’insalata di parole” dietro cui si difende lo
schizofrenico ; ultima porta per questi labirinti lacerati...
“L’arte-terapia è
effettivamente uno strumento privilegiato - conferma Bizzarri - per far emergere, in chi è affetto da grave
sofferenza psichica, ciò che altrimenti sarebbe incapace di esprimere...”
Universi spezzati ricomposti ? Ma allora la situazione
si ribalta...O più esattamente si ribalta il piano “artistico” nel quale si
opera...
“Sì. Grandi nomi a
parte, - interviene Vincenzo Scalfari, Primario del Centro di Salute
Mentale di Parma - la produttività
artistica dei nostri pazienti, ci serve proprio per far loro ritrovare una
quota di neutralità nel proprio universo d’angoscia. Quindi è questo il momento
in cui, attraverso i colori (privilegiamo le immagini, perché la parola è ad
uno stato molto più evoluto della comunicazione), si esprimono, ed è possibile
leggere la loro malattia ; ma la modalità di questa espressione è “sana””.
L’arte, finalmente, verrebbe da dire ; come fosse
improvvisamente un tranquillo mondo in equilibrio...
“Ma lo è - riprende
subito Scalfari - Il bello dell’arte è
proprio in questa sua necessità di coniugare razionalità e spontaneità. A
partire dalla razionalità, beninteso : si decide consciamente di scrivere,
di dipingere...Una scelta consapevole cui poi si sommano qualità innate,
d’accordo ; e soprattutto la capacità di attingere ad una dimensione
profonda, senza che questo provochi particolari tensioni o angosce. E’ il
privilegio del creativo. E’ quell’area sana che ci riconduce al discorso
terapeutico ; è, appunto, il punto d’incontro tra chi sta bene e chi
no...”
Non frutto ma espressione della malattia, laddove esista,
insomma. Quel certo giallo di Van Gogh...
“E’ evidente che noi
non abbiamo la stessa percezione di un paesaggio di quella che aveva Van Gogh
- spiega il Dottor Davide Bertorelli che opera nel laboratorio parmigiano di
arte-terapia - Il suo giallo è più profondo ;
è come se raggiungesse ciò che gli vive dietro. Una visione “da sostanza
allucinogena” che alcuni hanno in modo innato. Il creativo ha, appunto, questa
percezione sovrasensibile.”
Più vicino a ciò che è dentro, ma capace di “dirlo” fuori...
“L’arte, anticamente,
era il tramite tra scienza e religione - spiega Bertorelli - e in sostanza ha sempre mantenuto questa sua
funzione. Tra dentro e fuori. Tra uomo diurno e uomo notturno. Chi soffre,-
prosegue Bertorelli - soffre perché ha difficoltà a distiguere tra
interno ed esterno. Confonde. Privilegia (si parla di unilateralità) un solo
aspetto dell’essere uomo (che deve essere invece spirituale ma anche sociale, ecc...).
E allora anche e proprio un colore, un acquerello, può aiutarci a restituire la
direzione di un equilibrio...”
E nel laboratorio lavorano esattamente così : fogli
bagnati, polveri colorate, esercizi. Qualcuno di più : e allora espone
oggi, quella stessa diversa arte che parlava del suo dolore. Un bel giallo,
piccolo e lontano figlio della luce di Van Gogh.
Nome che ci riconduce all’universo dei grandi ; e a
quell’Holderlin che Jaspers già aveva analizzato...
“Holderlin è davvero
una figura archetipica. - aggiunge Bertorelli - E’ assolutamente chiaro come alla fine della sua vita, della sua arte,
della sua malattia, fosse rimasto come imprigionato in quella cultura greca di
cui viveva dentro di se un’immagine e una suggestione fortissima...”
E pericolosa. Il pensiero corre al recente e splendido film “Shine”,
e all’ossessione del protagonista per Rachmaninov...
“Pericolosa a livello
individuale. - insiste Bertorelli - Perché
al di fuori della seduzione di quella certa immagine, tutto il resto (il
quotidiano) diventa noioso, banale... E preoccupante a livello sociale ; e
per questo basta guardarsi intorno, oggi : c’è un continuo, quasi drogato
bisogno di immagini ed anche un loro consumismo esasperato, perché siamo
diseducati alla percezione. Perché siamo passivi nel fruirne, e quindi la
creatività si appiattisce : non sappiamo più creare a livello interiore...”
E’ di nuovo un gioco a rimpiattino con l’equilibrio. Fantasia
rubata. Fantasia folle.
Eppure la perla : chi può dire da dove ?
Rita
Guidi
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