C’era anche il nome
di Bob Dylan tra i candidati al Nobel per la letteratura di quest’anno.
O meglio di Robert Zimmermann : quel soprannome d’arte
che voleva essere il suo personale omaggio alla passione adolescente per
Thomas, il grande autore inglese di primo Novecento.
Scelta obbligata allora (per chi ama ascoltare i fili rossi
del destino) ; perché adesso tocca a lui l’essere chiamato poeta. Con un
rintocco che è già eco per qualcuno, o all’opposto campanello (inammissibile)
d’allarme per altri.
“ Io sono assolutamente
d’accordo - afferma Roberto Vecchioni
- Dylan è un caposaldo della cultura musicale e letteraria degli ultimi
trent’anni.”
Sarà...Però sembra che ce ne stiamo accorgendo soltanto
adesso. Come se, per un estremo paradosso, fosse stata la musica a togliere
(anziché aggiungere...) valore di poesia alle canzoni. Ad impedire e sottrarre
loro una dignità letteraria...
“E’ il paradosso della
critica, come dire ?, affettata, però ! Io certamente non lo avverto
né lo condivido. Ed è un paradosso - continua Vecchioni - che rimanda ad un’altra questione : l’unicità e la diversità della canzone. Voglio dire che la poesia ha
una propria grammatica, precisa di secoli ; e la musica lo stesso. La
canzone ha preso dall’una e dall’altra ed ha creato qualcosa di nuovo che non è
né l’una né l’altra. La canzone è canzone. Forma d’arte nuova (poesia ma più
popolare, se vuole), da valutare come tale, nella sua forma complessiva,
totale, finale.”
Parole e musica come gesto inscindibile : ma non quando
si compone, immagino...
“E invece sì. Arriva
davvero tutto insieme. Non saprei distinguere tra le parole e le note un prima
e un dopo. Almeno è così per me. Ma credo succeda ad ogni cantautore.”
Cantautore, allora, non poeta...
“No. Non mi piacerebbe
essere chiamato poeta - una pausa -
Oltretutto quello più attuale mi sembra un circolo così chiuso...Sono altri i
nomi che comunque arrivano al profondo. Nel ‘900 penso a Kavafis, Pessoa (che
per me è il più grande), ma anche Rebora, Luzi...”
A proposito di nomi : un’operazione molto recente
ha visto la poesia di Sanguineti trasformata in versione rap...
“Un momento :
Sanguineti non è un poeta. Costruisce possibilità di parole emozionali, ma non
è un poeta. Lui, Zanzotto..., sono ‘poeti (tra virgolette) di testa’.”
E le sue canzoni come le giudica ? Su che basi, in quanto sistema complesso, le
valuta ? E quali preferisce ?
“Una delle cose cui
tengo di più è la non banalità. L’originalità è importantissima, soprattutto della forma, perché i contenuti
sono più o meno sempre gli stessi. E poi la semplicità. A distanza di tempo
sono le più semplici quelle che preferisco : ‘L’ultimo spettacolo’, ‘Luci
a S.Siro’...”
E sono (o saranno) anche questi ‘titoli’ e pagine di studio
per i suoi studenti (Vecchioni oltre che cantautore è docente di italiano in un
liceo classico milanese n.d.r.) ?
“Chissà ? Sì. Me
lo auguro. Mi auguro, anzi, che prima o poi possa esistere anche una Facoltà di
questo genere...”
Una ‘Facoltà della Canzone’... ?
“Sì. Ma non solo
libri : studiare e parlare, leggere. Sì. Ma far sentire sempre anche la
musica.”
Certezza categorica ma condivisibile solo in parte dal
Professor Paolo Briganti, docente di Letteratura Italiana Moderna e
Contemporanea nella nostra Università, nonché autore (con William Spaggiari) di
un’antologia - ‘Poeti & C.’, per
la Zanichelli Ed. - dove quell’ “&C.”
comprende, accanto ai canonici Petrarca e Leopardi ( ebbene sì) anche Dylan
o i Beatles, Dalla e pure lui, Vecchioni...
“Vecchioni è un ottimo
cantautore, - ribatte infatti subito Briganti - ma nel prendere certe posizioni
mi fa pensare ad un professore di scuola ancora legato esclusivamente a
distinzioni crociane. D’accordo :
la canzone è un genere a sé. Però, come ci hanno insegnato semiologi e strutturalisti (dopo Croce...),
possiamo conoscere anche distinguendo. Che non significa dimenticare l’unità.”
Di conseguenza ?
“Di conseguenza, anche
nella loro nudità i testi devono mantenere un valore.”
E’ questo allora il criterio per distinguere quelle che
non-sono-solo-canzonette ?
“E’ anche questo :
quando una canzone non comunica qualcosa solo attraverso la musica ma anche con
le parole. E quando queste parole ‘tengono’ anche da sole.”
E’ un sospetto che abbiamo avuto da sempre : ascoltare
Battisti, Conte, Capossela, come Van Morrison o Dylan appunto, non ci è mai
sembrato un gesto passivo e gratuito, una fruizione indifferente. Più spesso
invece era scegliere un cd come un libro, aver voglia di riassaporare un pezzo
come di rileggere una poesia. Ma nelle antologie da quando ? Per la
cosiddetta critica ufficiale da quando ?
“Veramente per qualcuno
un inizio non c’è ancora stato ! - sorride Briganti - Nel senso che lo sguardo di sufficienza
negli ambienti più bacchettoni non manca. Dieci, dodici anni fa, poi, quando
cominciammo a pensare a questa antologia, l’idea era considerata a dir poco
strana. Oggi al contrario è quasi una moda. Ed il primo segnale forte in questo
senso direi che è arrivato col premio Montale a Paolo Conte di tre o quattro
anni fa. Per la prima volta esisteva una sezione per la canzone d’autore.”
E torniamo sulla specificità del genere...
“Ma guardi che su
questo con Vecchioni concordo...”
Insomma la canzone diventa ‘poesia popolare contemporanea’ :
possiamo definirla così ?
“Sì. Un nuovo genere
letterario ; ma in continuità con gli altri. Quale ‘grimaldello’ migliore
per avvicinare i ragazzi anche a quell’altra, più classica idea di poesia,
infatti ?”
Anche su questo concorda con Vecchioni : magari per una nuova
Facoltà ...
“Magari...Chissà ?
Potrebbe davvero esistere un corso sulla ‘poesia pop’. Ecco, chiamiamola così.
Si immagina le facce, - sorride Briganti
- se qualcuno oggi (anche se per il teatro o per il cinema è accaduto più o
meno lo stesso) dicesse che all’Università insegna storia della canzone ?...”
La canzone bussa alle
porte del paradiso : knock, knock,
knockin’ on heaven’s door... Dylan ripete ossessivo questo ritornello :
forse troppo per una pagina di carta, abbastanza mai per la suggestione in
musica. Per la poesia pop.
Rita
Guidi
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