Che è come
individuare un’altra bellezza (delle cose, degli uomini, della poesia) dietro
ad una più grande verità. Sono le lancette surreali di Dalì. O le diverse
fortune di Lorca, personalità così intensa e poliedrica da ‘costringere’ a
seconda dei tempi e delle emozioni a diverse letture. Quasi condanna, allora
però, questo parziale restringersi dell’interpretazione...
“Vorrei devvero
glissare sui modelli di lettura più recenti dell’opera di Lorca - afferma
il Professor Piero Menarini - Operazioni
pseudo-freudiane, non solo superate ma assurde e fuorvianti.”
Si riferisce a quelle legate alla natura omosessuale di
Lorca?
“Sì. Ma ciò che
infastidisce è che questo tipo di ricerca che negli USA ora va per la maggiore
( e per di più è finanziata dallo Stato) è sostanzialmente una caccia allo
‘scoop’, al presunto sordido. Vuole un esempio? Sono state pubblicate di
recente almeno cinque edizioni de “I sonetti dell’amore oscuro”. Ebbene un
falso è già nel titolo. Lorca parlò sempre e soltanto di sonetti d’amore,
richiamandosi semmai alla tradizione seicentesca. Aggiungere quell’’oscuro’
significa condizionarne erroneamente l’interpretazione...”
Quelle fastidiose lancette deformate...
E il tono risentito e sicuro di Menarini è quantomeno
motivato. Conosce Lorca da almeno vent’anni, e a quel ‘conosce’ manca solo il
ricordo impossibile di una stretta di mano. Oggi docente di lingua e
letteratura spagnola presso la facoltà di Lettere della nostra Università
(pendolare ormai da una decina d’anni dalla nativa Bologna), ispanista in
generale, si definisce però un lorchista puro...
“La mia tesi di laurea - ricorda - era sul volume oggi apprezzato ma allora
sconosciuto ‘Poeta a New York’. Era l’estate del ‘72 e subito dopo feci un
viaggio in Spagna, proprio per visitare i luoghi di Lorca. Con un po’ di
coraggio e molta faccia tosta, decisi di telefonare alla famiglia. Mi rispose
il fratello Francisco, invitandomi ad andarlo a trovare. Andaluso puro,
letterato raffinatissimo, estremamente ospitale, decisi persino di lasciargli
il mio articolo sul fratello. Non avrei mai immaginato che mi avrebbe scritto
per complimentarsi...”
E’ un messaggio prezioso: la naturale riservatezza andalusa,
l’abbandono ad un tempo senza fretta e l’assoluta preferenza per il contatto
umano, avrebbero potuto significare un consueto silenzio; e chissà, la stretta
di mano ad un nuovo incontro.
E invece no: quella lettera gli apre, come il più raro dei
riconoscimenti, le porte di casa Lorca. Le stanze, i cassetti, i manoscritti.
Per questo Menarini oggi si definisce un lorchista puro. Per questo il suo
nome, oggi, è imprescindibile per chi voglia avvicinarsi alla figura del grande
artista. Artista, certamente non solo poeta...
“La prima sorpresa
nello studiarne e riordinarne l’enorme mole di manoscritti, è stata proprio la
sua poliedricità - spiega - Lorca è davvero un mostro sacro. Ha fatto di
tutto in tutti i campi: disegnatore apprezzatissimo, ha scritto la
sceneggiatura di un film; è stato direttore teatrale, ma anche attore; ha
disegnato costumi e scene, scritto musiche e probabilmente progettato anche i
burattini ai quali dedicò più di uno scritto teatrale. E ho tralasciato,
ovviamente, la sua dimensione più nota di autore, poeta, prosatore...”
Lo fermiamo col desiderio della provocazione: definirlo in un
aggettivo...
“Tutti. - sorride
Menarini - No eh? Così è troppo facile.
Allora direi ‘unico’. Senza entrare in scale di grandezza, rispetto ai suoi
contemporanei ha davvero il carattere dell’unicità: poliedrico eppure sempre se
stesso; senza cedimenti a mode o a facili guadagni...Libero, poi. Anche
politicamente, per quanto questo possa sembrare paradossale...”
Può chiarirci meglio questo passaggio?
“Voglio dire che
innanzitutto per lui occorre essere poeti. D’accordo, tra le cause della sua
morte vi fu l’adesione al Fronte repubblicano, ma non scende nella mischia
politica. Dell’amico Rafael Alberti ha detto che era partito per la Russia
poeta ed era tornato comunista...Lorca odia i pamphlet e vuole la poesia
libera. Il suo modo di essere poeta ha un unico vincolo: aprirsi le vene per
gli altri. Lo scrive nel ‘35.”
Stiamo ridisegnando col compasso il quadrante dell’orologio?
“Certamente stiamo
liberandoci da erronei luoghi comuni. Ad esempio che la fama di Lorca sia
esplosa dopo (e per?) la sua morte. E’ un falso clamoroso: nel ‘27 era già tra
i poeti più guardati e dal ‘33 era il poeta di lingua spagnola più noto nel
mondo.”
"(...) Lorca è poeta drammatico e non lirico. L’Italia poi ha
sempre avuto uno sguardo su di lui e sulla Spagna in generale decisamente
folkloristico...Insomma sarebbe opportuno vincerne determinate catalogazioni:
dal chitarrista di flamenco all’avanguardista!”
Qual’è allora il Lorca che personalmente preferisce?
“Confesso che sono
sempre rimasto legato a quella prima opera
che ho scoperto, “Poeta a New York”. Forse una poesia difficile, ammesso che
l’altra sia facile, ma nella quale credo riesca a fondere al meglio la sua
cultura (che è e vuole essere popolare) e l’avanguardia, il surrealismo in
particolare. Tutta la sua sensibilità contadina, cioè, all’interno di una forma
espressiva, di una scuola poetica precisa. Senza contare che è già una critica
( poetica), coi suoi occhi di uomo del Sud, alle devastazioni della metropoli.”
E invece qual’è il ‘tempo’ vuoto, l’aspetto più trascurato
del poeta?
“La produzione per
quanto vasta è stata ormai vagliata praticamente tutta. Siamo riusciti a
realizzare una Fondazione (con tre sedi: Madrid, Granada, Fuentevaqueros) per
cui il materiale è a disposizione degli studiosi. Però, forse, occorrerà
insistere su Lorca prosatore: pagine giovanili di estremo interesse,
meditazioni, diari...Dialoghi, anche: un genere erroneamente inserito nel
teatro. E a proposito. Il suo teatro per i burattini: almeno sette copioni e
non due come si credeva. Insomma è un genere, non un episodio.”
Lorca è una scoperta (un tempo...) infinita...
“E’ un mostro sacro
gliel’ho detto. Una personalità che rivela un totale entusiasmo e passione per
le cose di cui volta per volta si occupa. Freneticamente: anche le grandi
tragedie le scrive in trenta, quaranta giorni. Curiosamente: afferma di
scrivere esattamente ciò che da anni aveva in mente. E scrive con la stessa
mano a distanza di dieci, vent’anni, come è proprio dei grandi. Anche questo
dovrà essere ricordato nelle sue biografie...”
Altro capitolo da rivedere...
“Diciamo pure altro
tempo, sì. Mi sembra appropriato. Accennava a Dalì: se certamente De Falla è
stato per lui un grosso punto di riferimento, per Dalì credo piuttosto il
contrario. Cenni ad orologi surreali e deformati sono spesso presenti nelle
prime poesie di Lorca...”
Analogie curiose: quasi in assonananza col verso che Menarini
ama maggiormente ricordare...
“Perchè io sono un polso ferito /
che gira dall’altra
parte delle cose...”
E aggiunge che, croce e delizia dei suoi studi e dei
manoscritti continuamente cancellati e corretti da Lorca, forse quel ‘gira’
(‘ronda’ in spagnolo) è in realtà, come in italiano, un ‘sonda’. O forse è un
errore del traduttore, chissà. Per questa volta non importa. Per una volta è
come se anche un ‘orologio deformato’ potesse battere ugualmente il tempo bello
della poesia.
Rita
Guidi
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