La certezza è che
sia comunque una fine.
Le parole di Furio Colombo non concedono spazio a dubbi: il
cyberspazio è una soglia. Il confine davvero virtuale tra un ‘prima’ e un
‘dopo’. O forse tra un ‘dentro’ e un
‘fuori’, tra ‘mente’ e ‘corpo’, tra ‘individuo’ e ‘società’...E la
contrapposizione dei mondi potrebbe continuare come continua in “Confucio nel computer” (Nuova Eri -
Rizzoli ) volume nel quale Colombo avanza appunto le sue inquietanti ipotesi.
Perchè accade che improvvisamente possiamo essere solo la
nostra mente. Libera. Totale. Assoluta. Non importa più il nostro corpo o il
nostro sesso; il luogo nel quale ci troviamo o i minuti che stiamo vivendo.
Esiste solo il nostro pensiero che però può vivere di vita propria: davanti
allo schermo di un computer, può dialogare o giocare, spiare o fare l’amore,
creare o reinventarsi. Libera mente. ( E se annullate lo spazio tra queste due
parole asseconderete un gioco che sarebbe piaciuto tanto ai futuristi di una
lontana avanguardia, quanto a questi post-contemporanei ‘navigatori’,
cybernauti davvero del nostro tempo ma senza tempo).
Luogo intatto, senza vita e senza morte, il cyberspazio
sembra ‘regalare’ facilmente tutto, anche l’impossibile: il libro riassume
storie di suicidi virtuali (per sottrarsi alla dipendenza delle Rete) e di
resurrezioni (cybernauti morti, ma subito sostituiti - perchè in fondo chiunque
può essere dietro alla stessa macchina - da qualcun altro nella ‘navigazione’);
e ancora, di donne innamorate del riflesso elettronico di uomini che poi si
rivelano essere, nel mondo reale, altrettante donne; o di ‘pensieri folli’
(come altrimenti chiamarli?) che celano la propria mostruosità dietro attenti
meccanismi a garanzia dell’anonimato.
Quali uomini allora ? E soprattutto quale società ? Colombo
raggiunge le radici estreme del dubbio, paventa il suo annullamento
(l’annullamento della società che da sempre conosciamo) proprio per il venire a
mancare del suo elemento primo: l’individuo sociale.
Cita Jhon Dewey : “L’identità
di un individuo è sociale dal principio alla fine. La società raggiunge il suo
equilibrio quando un individuo si avvia lungo un percorso di autorealizzazione,
e il frutto di quella autorealizzazione diventa disponibile a tutti attraverso
quella ridistribuzione della ricchezza sociale che è il sistema educativo.” E poi ricorda: “C’erano due guide per il comportamento efficace nel mondo del
capitalismo democratico. Erano le voci di Tocqueville e di Jhon Dewey -
riprende poi commentando la citazione - La
parola chiave di questa affermazione è ‘comunità’, una parola senza la quale
non si può descrivere il capitalismo di impronta americana. Fino a pochi anni
fa.”
E Colombo continua insistendo così implicitamente sull’idea
ineluttabile di soglia... “Dewey ha visto
presto che il punto di frattura, quello in cui una società rischia di
dissolversi, è nella separazione, apparentemente ragionevole, degli ‘opposti’:
individuo-sociale, mente-corpo, natura-cultura, fatto-valore,
oggettivo-soggettivo, scienza-religione.”
Nel cyberspazio accade questo.
Non tranquillizza più di tanto precisare che l’autore attinge
ad una prospettiva (realtà?) molto americana: sappiamo che l’Oceano che ci
separa dagli USA è un’onda breve quanto le idee. Più che mai ora, verrebbe da
dire. Perchè è forse il caso e il momento
di fare un piccolo passo indietro.
Questa ‘memoria
accidentale del futuro’ - così il sottotitolo del volume - nasce dalle
conseguenze all’enorme sviluppo che ha avuto la Rete in America ( ma che così
rapidamente sta prendendo piede anche da noi). La Rete, e cioè quella serie di
possibilità, da Internet in poi, che ha offerto all’utente di computer una
connessione globale ed in tempo reale, praticamente con tutti (o quasi) gli
altri computer. E come in un gioco del quale si è perso il controllo, la ‘vita’
è cresciuta ‘dentro’ questo mondo virtuale come in un parallelo libero rispetto
all’esterno. Troppo libero e troppo bello, aggiungeremmo però, tanto che come
in una droga collettiva, molti, tanti (troppi) ragazzi (americani?),
preferiscono rifugiarsi lì: e lì trovare tutto, dagli ‘amici’ alle notizie,
dalla musica al sesso o ai passatempi.
Sempre più disinteressati e lontani da ciò che è ‘fuori’ ( il mondo vivo e
dunque a volte brutto, doloroso, reale). Sempre più soli. Ed è in questo
trionfo della solitudine, che insiste il grido di allarme di Colombo.
“Ora, noi da un lato
non conosciamo il confine della nostra mente. Dall’altro non conosciamo il
confine del viaggio in Rete - scrive - Queste
due entità indefinite, toccandosi e
mischiandosi, non possono non portare euforia, un senso quasi allucinogeno di
potenza pura, dilatazione, esaltazione della mente. Esattamente ciò che molti cercavano nella droga. Ma porta anche
alla solitudine. E’ una solitudine che non percepisce più il suo limite e che
crede di essere in contatto con il mondo.(...)Non si può rinunciare alla
macchina ma non si può non sapere che il viaggio si compie da soli.”
L’inganno è nell’illusione (ma purtroppo nulla aiuta ad
esserne consapevoli).
Non per nulla è virtuale questo spazio: virtuale il contatto
e la parola. Col computer si può fingere di usare una tastiera lontana come si
può fingere di essere in un bar...Insistiamo sul fingere: si può fingere un’altra identità,
fingere un altro tempo. Dunque dar vita ai fantasmi della nostra mente. Esempi
di non-identità li trovate come detto, inquietanti, qui. Ma se non bastasse è
appena uscito “Net@generation. Manifesto
delle nuove libertà”, (Mondadori Ed.) scritto, se volete, da Luther
Blisset. Se volete, perchè il nome è a prestito: nome collettivo per i
viaggiatori che in Rete preferiscono l’anonimato. Se siano fantasmi
fanaticamente votati a difendere i diritti alla totale ‘libertà’ del popolo
‘libero’ della Rete, o invece autentici rappresentanti del ‘nuovo’, decidetelo
voi.
Colombo non esita a parlare di controcultura: figli dei ‘bit’
(ma dal sapore decisamente diverso dai figli dei fiori degli anni ‘60). O figli
di Gates e di Negroponte, verrebbe da dire, ottimisti fino all’ultimo atomo (e
il termine non gli piacerebbe) verso le nuove tecnologie. Opinione
disinteressata ovviamente non è, quella che porta il Re Mida della Microsoft a
guardare alla Rete come a “La strada che
porta al domani” (così il suo libro), ma diventa addirittura fanatica nel
‘guru’ del M.I.T., Negroponte appunto, che non esita a catalogare i libri come
atomi inutili (“Essere Digitali”) o
ad affermare : “Ho sempre odiato la
storia. E’ un bagaglio pesante e inutile.” Citazione ripresa da Colombo (lo
definisce significativamente ‘predicatore di un mondo che non si presta alla
discussione’), ma che rinvia anche all’affermazione di Riotta qui accanto.
La Rete sembra risolvere la fatica di crescere, illudere di
partecipazione laddove è pilotata passività.
E’ come se la realtà fosse pesante, improvvisamente troppo
pesante per l’uomo moderno. Pesanti le cose e il dolore, la bruttezza e il
tempo, l’imperfezione e il caos. Gli altri.
E’ come se però, adesso, potesse dimenticarlo, e fingere di
vivere ugualmente. Qualcuno gli ha detto che basta un computer. L’imperativo
(che emerge dalla società di individui cui Colombo appartiene) è fare in modo
che si chieda sempre se davvero lo vuole, se davvero è giusto, se davvero è
così facile. L’imperativo è fare in modo che si chieda sempre ‘chi’ glielo ha
detto.
E fare in modo che un computer resti solo un comodo, stupido,
utilissimo computer. Poi, se volete, chiamatelo anche Hal.
Rita
Guidi
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