ma non è quello il
giorno in cui per la prima volta ha respirato la vita.
Eliza è arrivata così, dentro una cesta o forse in una
scatola di carta, figlia della leggenda e della fantasia di chi subito le ha
voluto bene. Figlia della fortuna, allora, e questo libro che le cresce addosso
si chiama proprio così (“La figlia della fortuna”, Feltrinelli, 333 pagg.,
L.30.000). Nuova occasione per abbandonarsi allo stile sanguigno e latino che
le pagine di Isabel Allende sanno regalare.
America. Milleottocento. Questa volta i suoi personaggi si
muovono lì, tra Cile e California.
Le sue donne, dovremmo
dire, perché a loro l’autrice ha riservato massima definizione e contrasto. Non
solo Eliza, quindi, trovatella dai capelli neri della quale seguiremo tutta
l’adolescenza. Ma anche Rose. Miss Rose Sommers, cittadina britannica
volontariamente imbarcata per il Cile al seguito del fratello Jeremy, austero
funzionario della Compagnia Britannica di Importazione ed Esportazione.
Rose è giovane, inglese fino alla punta dei capelli, non è
sposata, è proprietaria e animatrice del salotto buono di Valparaiso, eppure
non ha un attimo di esitazione nel voler adottare quella piccola che una
mattina di marzo si ritrova sotto casa.
Il bustino (impeccabile quanto i suoi modi) le imprigiona
insomma la vita, non l’esistenza. Una vera passione per la libertà, respinge
con simpatica fermezza appassionati corteggiatori, chiacchiere ed
etichette :
“...Non si lasciava intimidire dal marchio di zitella, anzi,
- la descrive la Allende - era decisa a
suscitare l’invidia delle maritate, nonostante una teoria in voga sostenesse
che alle donne, quando sfuggiva loro il ruolo di madre e sposa, spuntassero i
baffi.”
Se è questo il rischio da correre, preferisce così. Meglio
un’ombra sulle labbra che negli occhi. E lo sguardo di Miss Rose è
scintillante, “sembrava sempre sul punto di scoppiare in una risata
civettuola”. Questo pensa e piace a Jacob Todd, sbarcato a Valparaiso per una
libera scommessa, e lì rimasto troppo a lungo, intrappolato da questa immediata
e non corrisposta passione.
E Eliza ? La piccola, scura Eliza ? L’autrice non
l’ha abbandonata di nuovo. Anzi. Quasi un giocattolo nelle mani serene di Rose,
sgambetta tra le pagine del libro, comparendo discreta, come a una bimba ben
educata conviene. Bambola in società, o
un poco più zingara con la tata Mama Fresia ( splendida quanto “vasta” stregona
cilena che esce dalla penna colorata della Allende), Eliza cresce libera,
vestendo di bon-ton britannico il suo carattere indigeno. Figlia della fortuna
di essere “nata” Sommers, ma figlia del destino, anche, che avrà gli occhi di
un uomo.
Promessa ad altro, più altolocato pretendente, la spensierata
adolescente cresce all’emozione di donna per altre più fragili, povere,
appassionate spalle.
A nulla vale la preoccupazione di Rose, più sorella che
madre, nel ricordare in un lontano passato la stessa passione che da sempre
imprigiona la sua libertà.
L’autrice descrive senza malinconie l’intensità breve di una
stagione sensuale e felice. Quel momento dei baci e della pelle che chiuderà in
gabbia il presente delle due protagoniste.
Troppo breve. E per questo da inseguire. Tappa solitaria
della mente, per Rose, meta da raggiungere con una valigia per Eliza.
Da Valparaiso a San Francisco, il libro si dilata in un
altro. Lontano dagli infusi e dai confini sudamericani, il racconto diventa
percorso. Anche lo stile meno latino e immaginoso. Concentrata su Eliza,
l’autrice la muove sulle strade più mature di chi scopre di cercare se stessa e
non l’amore sognato. Di “lui” segue all’inizio le tracce, è vero ;
cronache di giornale per un nome che alla passione d’amore preferisce quella
della libertà. Ma la sua ricerca
caparbia, anni di tensioni e di viaggi sotto spoglie maschili, lentamente
sbiadisce ad un’altra felicità. Quella di ricordarsi, il bustino, i pizzi, il
filo di perle, senza ombre negli occhi. E quella di indossarli di nuovo. Bella
per lo specchio, o per il riflesso di più discreti amori.
Come se davvero fosse figlia di Miss Rose Sommers. Nata,
davvero, quel 15 di marzo.
Rita
Guidi
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