Le lettere sono mattoni di costruzioni in
corso, pagine di libri virtuali. Giochi. Anzi, gioco. E proprio “Il gioco
dell’alfabeto” è il titolo dell’ultimo e già acclamato romanzo di Sebastian
Faulks (autore premiato nel 1997 con il suo “Il canto del cielo”).
Apparentemente frammentario, eppure curiosamente avvincente,
il libro scorre con un ritmo pacato, la
scrittura semplice, il meccanismo collaudato che alterna presente e
flash-back.
Dall’ultima guerra ad oggi, la vicenda racconta di un
americano in Italia, soldato e poi padre, e soprattutto del figlio, Pietro
Russel, che tenta di far rivivere attraverso il ricordo le proprie radici. Fotografo affermato, uomo inquieto e un poco
eccentrico, sceglie di farlo seguendo un gioco insieme folle ed ingenuo.
Raggiungendo cioè ventisei località, tante quante sono le lettere dell’alfabeto
inglese, che rappresentino la tassonomia della propria vita. Ordine sgangherato
e illusorio, o forse estremo filo logico per ritrovarsi.
Una lettera dopo l’altra, il (suo) mondo gli scorre sotto i
passi : A come Anzio, l’inizio di tutto, il destino nell’incontro tra sua
madre e suo padre...D come Dorking, dove la madre invece scomparve...L come
Lyndonville o del suo primo amore...G come Gand, giardino d’infanzia invece
della moglie...
Una pagina dopo l’altra, come piccole storie incomplete, si
compone un inedito mosaico. Inedito anche agli occhi del protagonista.
Una lettera dopo l’altra, l’alfabeto si trasforma in parola.
Viaggio che diventa percorso filosofico, chiave di lettura della propria
realtà.
Dalla A alla Z ora può avere un senso. Una conclusione che
ricongiunga presente e passato. A come Anzio e Omega come Zanica. Quattro case
e una bar nella pianura bergamasca. Quattro case, un bar e una stanza per gli
ospiti. Rifugio occasionale per chi resta in panne con l’auto. Come accadde a
suo padre. Suo padre e sua madre, una sera di tanti anni prima.
Tanti anni, esattamente, quanti ne compiva lui.
Rita
Guidi
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