Colpisce forte così,
la bella trilogia di Anne Tyler dal titolo “Il tuo posto è vuoto”, che esce ora
ne “Le Piccole Fenici” della Guanda ; strappando il sipario ad ogni pacato
orizzonte quotidiano, percuotendo senza pietà la polvere dei giorni
apparentemente senza problemi e senza storia.
Dietro uno stile piacevole che scorre dolce e tranquillo,
sotto l’atmosfera raccolta di una manciata di pagine, la Tyler incide su ogni
umano orizzonte d’affetti, come fosse pelle. Superficie calda e pulsante
(umana), e però dolente : appena oltre la carezza, piaga, ferita,
“malattia”. Come dire che così è il corpo, il cuore ; la vita è così.
C’è tutta la consapevole rassegnazione ad una sofferenza
naturale e inevitabile, ad esempio, nella vicenda narrata nel primo racconto.
Una madre che arriva in un luogo lontano : quell’America dove il figlio ha
trovato lavoro, casa, e anche sposa. Una famiglia diversa, ai suoi occhi ;
altre abitudini, altre tradizioni da quelle che il suo cuore e il suo mondo
porta da sempre con sé. Nessuna lotta, ma solo affetto, anche nel breve spazio
di una pur lunga visita, nel tentare di ricostruirle anche lì. Nessun grido, ma
solo affetto, nel suo brontolare ordini antichi, inaccettabili e cari, ormai,
agli occhi del figlio.
La vita è così.
Pretende altri equilibri ; anche se punteggiati dalle lettere che dopo i
saluti, i nuovi giorni, la lontananza continueranno a ripetere... “Sono trascorsi dieci anni, e ancora il tuo posto è
vuoto...”.
Un vuoto che però non è solo assenza o lontananza : più
dolente è quell’altro, quello delle vicine solitudini, delle parole spezzate
dallo spazio siderale che avvolge e assorda chi invece dovrebbe risponderci,
accanto.
E’ a questo vuoto che guardano i due successivi racconti, in
una prospettiva anche qui femminile ; abituale del resto all’autrice
americana ( già Premio Pulitzer nel 1989 con “Lezioni di respiro”).
Vite di coppia nella “Middle Class” americana ; il
lavoro, i figli, i ricordi, le amicizie, l’amore. L’amore che resta, però,
sempre un poco vuoto.
Una soglia trasparente (anche a una certa serenità, anche a
un sorriso) su cui s’infrange il passato di Susan : tutto l’affetto del
marito Mark non sa oltrepassare, estraneo, il suo dolore per la morte suicida
della madre, per la nuova solitudine ed estraneità (di sempre) del padre.
Ancora, e infine perché è questo l’ultimo racconto, la noia
di Lucy : più che moglie, madre del proprio marito ; fac-totum in
casa di fronte alla sua totale incapacità, eppure si ferma alle soglie del
sogno di qualsivoglia evasione. Eppure lo ama.
Eppure si ama ; nonostante quel vuoto che siede accanto
all’amore. Ed e’ insomma proprio questo che l’autrice ci vuole raccontare.
Rita
Guidi
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