Non c’è mai nulla di
diverso ad annunciare i cambiamenti del destino. Nessuno e niente che chieda
“permesso” nell’entrare a sconvolgere la nostra vita. E’ così che d’improvviso ci si ritrova
costretti ad altro ruolo, con certezze e amori strappati di mano. O che un
dolce biscotto, fragrante e caldo di forno, ancor più invitante per la sua
perfetta e riuscita forma a cuore, si spezzi. Proprio come nella copertina di
questo “Amore è una parola” di Claire
Calman (Bompiani, 279 pagg., L. 26.000).
Romantico senza mai
essere sdolcinato, intenso senza mai smarrire la più moderna idea di
quotidiano, questo libro che segna il fortunato esordio della giovane e inglese
autrice, è infatti proprio la cronaca interiore di tutto questo essere
improvvisamente altro (anzi altra, perché è una giovane donna, la
protagonista). E in ogni caso è già un successo, sia nella stessa Gran Bretagna
che negli altri sette Paesi dove è già stato tradotto.
Facile, in fondo,
capire perché. La vicenda scava, evidente, in quell’esatta e difficile porzione
di sentimento che è appunto la solitudine del dopo. Di qualsiasi dopo. Analizza, ben oltre e ben di più di qualsiasi
superficiale microscopio, i pensieri e i ricordi di una condizione che
catalogare sotto il nome di single suona forse calzante, ma anche troppo
riduttivo ( o addirittura edonistico).
A ritrovarsi sola è
insomma Laura. Simpatica, vivida, ironica e un poco tondeggiante protagonista.
Laura che non ha più nemmeno trent’anni e che ha dimenticato la propria
felicità appena ieri. Congelata al freddo di quella voce che le comunicava
l’incidente mortale del suo compagno, Patrick. E Laura, adesso, deve ripartire da
lì. Da un dopo abitato da fantasmi e deserto di certezze. Da un’età che la
cataloga come non abbastanza giovane, ma nemmeno sufficientemente vecchia. Da
un mondo che la ricorda, la confonde, la pretende, ancora metà di un’altra
metà.
Nessuna sorpresa che
lei per prima decida di fuggire, completamente cambiare. E nessuna sorpresa che
al nuovo indirizzo- nuova città – nuovo lavoro, porti con sé le stesse valigie,
qualche foto, un trasloco di ricordi.
Insieme impietosa ed
esatta l’autrice nel muovere gesti e pensieri della protagonista, sempre in
bilico tra vecchi rimpianti e nuove speranze. Ferita dalle mani intrecciate che
incontra ad ogni angolo di strada, e insieme impaurita dal tendere di nuovo le
sue. Troppo dolore in agguato ad ogni nuova possibile felicità. Eppure, che lei
lo voglia o no, la sua vita, come il brillante ritmo di queste pagine, va
avanti. Più ironia che sorriso, più apatia che entusiasmi, eppure va avanti. In
uno slalom tra la sicurezza di fedeli amicizie da frequentare, passatempi da
ritrovare, occasioni da evitare: Laura e Viv che si confidano tutto, Laura e le
tele e i colori, come uno sfogo improvvisamente più importante e bello, Laura e
i genitori, una madre (anzi, Alessandra, chè così preferisce che la figlia la
chiami) troppo preoccupata della messa in piega e della linea, e un padre,
almeno lui sì, come l’ultima spalla sicura alla quale appoggiarsi.
Alle pareti le foto di
lei e di Patrick, le istantanee troppo lentamente si fanno memoria, sotto la
forza di uno spicchio di calore che torna a farsi realtà.
Troppo facile?
Scontato? E invece no. La Calman non si rassegna, e fino all’ultimo non ci
risparmia i colpi di scena del cuore. Ci lascia, insomma, in attesa, prima di
chiamarlo amore. Prima di scrivere (e di farle dire) questa abusata, difficile,
dolorosa e felicissima parola.
Rita
Guidi
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