Hanno lo stesso piacere ruvido del profondo Nord, le pagine
di Peter Høeg. Più che mai in questo suo ultimo “La storia dei sogni danesi”
(Mondadori, 366 pagg., L. 33.000), forse anche perché in realtà è il primo.
Romanzo d’esordio, infatti, (è del 1988) ma necessariamente
ripreso oggi, dopo i successi de “I quasi adatti”, “La donna e la scimmia”, e
soprattutto di quel “Il senso di Smilla per la neve” (con lo stesso titolo
anche su grande schermo) che ha proiettato il poco più che trentenne autore
nell’orbita dei bestsellers internazionali.
Un Høeg di prima, insomma, da leggere dopo, in uno scherzo
del tempo che gioca curiosamente e apertamente a rimpiattino proprio con la
stessa materia di cui è intriso il libro. E cioè lo scorrere dei giorni,
fiabesco, illogico e duro ; la storia , che confonde le sue carte coi
capricci degli uomini ; la clessidra del tempo, rovesciata o fermata da
una fantasia che lotta con inutile successo all’avanzare dei secoli.
Cinque secoli. Perché non manca comunque un procedere
cronologico, nelle vicende qui immaginate da Høeg. Dalla sua penna ruvida, un
poco ostica prima di avvincere. Dal Cinquecento ad oggi, nomi e cose si muovono
sullo sfondo di una Danimarca fantastica eppure reale. Mai senza che un volo
impossibile faccia aleggiare Andersen. Sempre con quel lento brivido di freddo,
che appartiene all’autore e alla sua terra di Nord e di filosofi, e che scava
(e affascina) di cruda realtà, la costante atmosfera da c’era una volta.
Realismo magico : qualcuno lo chiama così. Anche se in
questo caso si tinge di un colore in più. Prìncipi e conti, scudieri e
castelli, giù giù fino all’oggi fatto di strade, automobili e biciclette, è questo
il costante affresco volante della storia danese. Di una famiglia. E dunque
della sua società. Della sua gente. E dunque, certamente dei suoi sogni. Il
primo è quello del Conte di Mørkhøj, protagonista di un nordico rinascimento,
che vuole il suo luogo esatto al centro del mondo ; fulcro della sua e di
tutta la nobiltà ; ma universo destinato a scomparire, se non provvedesse
lui stesso a proclamare in eterno il presente assoluto dell’anno Uno. La sua
Danimarca si isola nell’incantesimo racchiuso tra le mura del castello.
Illusione rotta dal Novecento che seppellirà i tricentenari abitanti, con le
ceneri di una vita che non può più esistere.
Stessa disillusione, è quella dell’ultimo di questi
sognatori : quella del bello, giovane e biondo Carsten. Baluardo borghese
a una modernità che avanza, e uccide la voglia d’amore, d’antico, d’identità, in
una nuova solitudine. Un tempo che cresce, e non si può fermare, e che bisogna
accettare e insieme vincere. Non dimenticandosi. Questo vuol fare lui, e di più
Mads, suo figlio, “autore” rivelato di questa secolare vicenda.
“Se mi ostino a scrivere la storia della mia famiglia -
scrive infatti - è per necessità”. “Davanti c’è il futuro - prosegue - e io
voglio guardarlo negli occhi, ma sono sicuro che se non si fa niente non ci
sarà alcun futuro da guardare negli occhi...Ecco perché ho voglia di gridare
per chiedere aiuto. Non abbiamo tutti bisogno di chiederlo a qualcuno ? Io,
l’ho chiesto al passato.”
Rita
Guidi
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