I bimbi. Calcolati, programmati, provettati, costruiti
(clonati ?). Copertine prima ancora di avere un nome. Fenomeni. Anche
sull’altro versante, del rifiuto , della trascuratezza. Gettati, abbandonati,
venduti, violati, dimenticati e soffocati nelle auto arrostite dal sole.
Educati ? Capitolo due. Per fortuna c’è anche questo.
Rassicurante bisogno che viene dopo una certa (piccola ma sempre troppo grande)
realtà, e che sembra suscitare adesso una nuova onda di interesse. Sarà per il
fallimento di certe teorie anni Sessanta a base di “laissè faire”, quelle della
serie un-genitore-per-amico, insomma, o per la scelta più responsabile di chi
oggi decide (volli, fortissimamente volli...) di avere figli, certo è che le
proposte-risposte non mancano.
Editoriali, certo. Fantasiose, seriose, scientifiche o
bizzarre, sono comunque sufficienti (e basterebbe già così) a chiedersi, riflettere, soppesare, su
mode e modi dell’educazione.
Educazione : è proprio questa infatti la parola chiave
sulla quale fa perno il volume di Cesare Barioli e Marcello Bernardi, “Corpo
mente cuore” (Luni Editrice, 200 pagg., L. 27.000). Un manifesto per una nuova
educazione, perché questo è appunto il sottotitolo, realizzato a quattro mani
da un medico, pediatra, educatore e praticante di judo (qual è Bernardi), e dal
suo maestro di Judo oltre che giornalista (qual è Barioli). E proprio in questa
disciplina, il punto di contatto tra i due, la soluzione o comunque l’invito.
Perché il libro, tra conversazioni in presa diretta e sunti
di conferenze, si apre con una premessa di innegabile evidenza : la
scuola, la società, la salute, sono spesso compromesse da virus pestilenziali.
Mercato e mercificazione, separatezze e anche massificazione. Però, dicono gli
autori, è possibile difendersi. E’ possibile crescere forti dei propri principi
morali. Come ? Ad esempio col judo, prendendo spunto dal judo. Non solo
sport, non solo disciplina, non solo strumento di concentrazione o di difesa, è
però anche tutto questo. Corpo, mente, cuore, per tornare al titolo. E il suo
segreto è proprio nell’imparare questa non separazione. La stessa che dovremmo
usare nell’educare i nostri figli. Nonostante, come si riconosce qui, la nostra
realtà ci imponga confini : un medico per il corpo, un professore per la
mente, per qualcuno un sacerdote per il cuore.
Un no a tutto questo significa, certo, reinventarsi ; e
per questo gli autori ripetono che il judo, come l’educazione, non conoscono la
soglia degli anni, e riguardano i ragazzi come gli adulti. Perché, spiegano,
posso forse offrire a mio figlio come certa, la mia esperienza appartenuta a un
mondo così cambiato ? “Questo mondo in rapida evoluzione rende abbastanza
obsoleta per una generazione l’esperienza della precedente. - scrivono gli
autori - Mio padre aveva viaggiato sui tramway a cavalli e stendeva l’emulsione
sulle sue lastre fotografiche. Insegnare ad affrontare la realtà non equivale a
dare la propria esperienza.”
Ma a dare conoscenza sì. O almeno così implicitamente afferma
Andrè Fourcans, con questo suo “L’economia raccontata a mia figlia” (Etas
Libri, 135 pagg.,L.25.000)
Nell’insegnare ad affrontare la realtà, anzi, nella
fattispecie, è importante accennare ai processi e meccanismi economici, che
governano il mondo, dalla ricchezza delle nazioni, all’economia dell’amore. E
il tono è in effetti paterno, nel senso che in modo quanto mai colloquiale e
divulgativo, l’autore, in questo immaginario dialogo con la figlia, snocciola
con chiarezza modelli e protagonisti di questa disciplina (apparentemente o
realmente ?) complessa e per addetti ai lavori. Con pochi paroloni e molta
ironia, insomma, non solo si chiariscono qui motivi consueti, come i meccanismi
non sempre logici che regolano monete e mercati, ma tutto nell’esistenza viene
letto in quest’ottica. Matrimonio compreso : no, non solo quelli (è ovvio)
di interesse ; anche il...vostro. Reinterpretato e sezionato in termini di
pianificazione e investimento. Idem per i figli.
E ci risiamo. Calcolati e indagati, però in un’altra veste,
lo sono anche nel serissimo, ponderoso e curioso saggio di Frank J. Sulloway,
“Fratelli maggiori, fratelli minori” (Arnoldo Mondadori Editore, 521 pagg., L.
36.000).
Provate a far mente locale : il vostro primogenito è più
tranquillo di quel ribelle dell’ultimo arrivato ? Non è perché sono
cambiati i tempi o le mezze stagioni. E’ perché il primo è il primo e l’ultimo
l’ultimo. Sulloway, docente e studioso al MIT di Boston, ha indagato e studiato
proprio questo : come la competizione tra fratelli determini la
personalità. Attingendo a ricerche a vasto raggio come da esempi storici
clamorosi.
“Nel corso degli ultimi cinque secoli - scrive Sulloway -
l’ordine di nascita si è rivelato il più coerente dei fattori previsionali di
accettazione dei processi rivoluzionari. Rispetto ai primogeniti, i
non-primogeniti sono maggiormente portati a identificarsi con i perdenti e a
mettere in crisi l’ordine prestabilito. Al contrario, i primogeniti,
identificandosi con i genitori e l’autorità, sono più portati a difendere lo
status quo.”
Anche con la violenza : Mussolini, Stalin, Che Guevara e
Carlos lo Sciacallo erano primogeniti (ma anche Newton, Churchill e Freud).
Pensatori rivoluzionari come Calvino, Voltaire, Darwin o Gandhi, invece, erano
ultimogeniti. I più moderati e inclini al compromesso ? Quelli di mezzo.
(Ma come si fa a farli tutti così ?)
E’ insomma una ricerca che riscrive la storia. E’ invece una
bella storia (vera), quella che racconta l’autrice Torey L. Hayden,
psicopatologa infantile americana, in questo “Una bambina e gli spettri” (TEA
Ed., 238 pagg., L.13.000). Scorrevole “romanzo” d’esperienza vissuta in una
classe difficile, e con una bimba ancora più difficile : la piccola Jadie,
affetta da un cosiddetto mutismo elettivo, per cui riesce a parlare solo in
casa, non a scuola, non con gli altri. Vicenda che rinvia a un altro dei tanti
problemi di quel mondo non sempre di fiaba che è l’infanzia : la
comunicazione, o meglio la non-comunicazione. Il rifiuto del mondo, (del
non-amore ?), dell’adulto, la paura.
“Quando i bambini hanno paura” è invece il titolo del saggio
di Jan-Uwe Rogge (Pratiche Ed. 256 pag, L.28.000), che guarda a questa
esperienza come ad un necessario momento di crescita. E suggerisce ai genitori
atteggiamenti alternativi all’inutile e così frequente rassicurazione di non
averne, prima di prenderli tra le braccia. Di quando invece ridono si occupa il
divertente volume di Jack Moore “Perché la risata di un bambino è tutto” (Salani Ed., 112 pagg., L.8.000). Illustrato con novantasette cuccioli di uomo
felici e più o meno sdentati, non solo suggerisce altrettanti modi per farli
ridere, ma spiega anche perché, persino il più musone degli adulti, alle prese
con gli under-1 vuole regolarmente strappare loro una risatina.
Piacerà insomma anche alle mamme, così come il sorridente
“piccolo grande libro della nascita” dal titolo “Storia di un bambino e della
mamma che gl’insegnò a volare” (Salani Ed., 80 pag, L.24.000). Evidente ripresa
del successo di Sepulveda, attraverso le stesse poetiche illustrazione della
gabbianella Fortunata e del gatto Zorba, è una sorta di diario-guida al quale
affidare i primi passi, i primi dentini, le prime parole, i primi giochi.
Quasi un’anticipazione, allora, di quest’altro titolo di
questa letteratura per crescere. Di Beatrice Parisi e Sergio Valzania,
semplicemente “Giocando” (Rai-Eri, 126 pagg. L.16.000). Ispirato alla omonima
trasmissione di Radiodue, è una sorta di abbecedario con curiosità ma
soprattutto suggerimenti per inventare, conoscere, divertirsi con il gioco. Per
bimbi di ogni età, naturalmente.
Educare un figlio, per fortuna, significa passare insieme a
lui anche da qui.
Rita
Guidi
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