Accade spesso che sia una scomparsa, il punto d’incontro tra
molti destini. L’assenza improvvisa di qualcosa o di qualcuno. E’ allora,
spesso, un momento di buio, malauguratamente utile al riaffiorare di tutte le
ombre nella propria esistenza. E’ lo spegnersi, un poco, della luce (vera o
illusoria) cui si è deciso di aggrappare la vita.
Scompare un uomo, al centro esatto del dolorosamente
incantevole romanzo di Mario Fortunato, “L’arte di perdere peso” (di Einaudi,
207 pagg., L.28.000). E scompare, ben oltre le soglie del libro, imponendo una
sosta e una nuova partenza allo scorrere della narrazione.
Narrazione, comunque, ininterrotta di emozioni e tormento,
questa del quasi quarantenne Autore (già suoi, sempre per Einaudi “Luoghi naturali”, “Il primo cielo”, e
“Sangue”), che firma tra l’altro ‘reportages’ di luoghi (“Passaggi paesaggi”, di Theoria) e di
uomini (“Immigrato”, sempre Theoria).
Superficie e scavo, quindi, immagine e anima, sono un tratto costante
della sua penna, esattamente come qui.
Perché è una morte improvvisa e violenta che però arriva piano,
quella del Professor Fabre. Una scomparsa che segue e ne precede altre. Ed è
un’ombra (attesa ?) in un divenire costante e vitale (e mortale) di volti
e di esistenze e di luoghi, che punteggiano incessanti questa vicenda.
L’appuntamento è Djerba : il calore pigro di un vicino
oriente per trasudare il sale di mille protagonisti. Qualcuno è lì per lavoro, altri per la vacanza
imprevista o di routine. Ma il sole, il villaggio, la spiaggia, sono solo il
contorno esotico di chi giunge da un altrove. Quasi in esilio da una certa
parte di se stessi, verrebbe da dire, pensando al titolo (esilio, appunto) che
con cadenza alternata ricorre capitolo dopo capitolo.
E certo lo è quello di
Blasi. L’italiano, tondo e anziano dottore che ci è dato conoscere nei pensieri
e nei ricordi. Un uomo solo, dopo che la luce della sua esistenza è scomparsa
improvvisamente. Silenziosamente, inspiegabilmente, la moglie Dina ha tolto la
vita a se stessa e ha spento la sua. I perché perduti nell’ombra di chi vuol
credere di essere felice, di chi è cieco alla tristezza di un certo sorriso, di
chi è capace di un amore che preferisce non chiedere mai, con una fiducia
grande quanto il terrore.
Blasi è una figura centrale nella vicenda. E’ lui che ci
conduce a Djerba ; è con lui che l’autore ci abitua alla sinfonia
dolceamara dell’autopsia continua tra i sentimenti. Ben più dei dialoghi o del
semplice racconto, sono infatti i pensieri, i diari, le lettere, a condurci
ovunque nell’anima : in Sardegna o in Giappone, in Inghilterra o in
Olanda, Francia, California, gli altri “ospiti” di questa tormentata vacanza
affiorano nudi della propria vita. E la intrecciano ad altre ; come
ingredienti su una bilancia che sa far tornare esattamente i conti. Tutte comunque e sempre in cerca di
luce : fosse l’espressione intensa per l’arte fotografica di Pradine, o
invece il riflesso dell’oro nel quale cerca ancora un po’ di un negato
splendore la solitudine di Lina. Tutte
inquiete per qualcosa che si è ingigantito dentro : la malattia o
l’omosessualità, una lontananza, un dolore, un’assenza. Qualcosa di pesante.
Perché, insomma, “L’arte di perdere peso” non è un libro per alleggerire il
corpo né (tantomeno) uno di ricette, se non nel gioco di specchi tra l’Autore e
un’altra protagonista, Myriam. E’ lei, dolcemente rotondetta, che decide ad un
tratto di pubblicare una raccolta con quel nome. Titolo giusto per indicare ad
altri quella soluzione che da tanto cercava. “Qualcosa che aveva a che fare più
con l’anima che con il corpo”, per dirla come scrive lei. Ricette sapide eppure
leggere ; appetitose e fragili, come la felicità e la vita. Come la luce
(vera o illusoria) cui abbiamo scelto di aggrappare la vita.
Rita
Guidi
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