E’ invocata da quel Settecento idilliaco e pastorale
che vede in Angelo Mazza un protagonista poeta...
“E’ proprio con lui che
nasce la poesia dialettale parmigiana - afferma il Professor Guglielmo
Capacchi - E non quasi un secolo più
tardi, nell’Ottocento, come comunemente si crede.”
Il tono abitualmente pacato appena venato dall’orgoglio della
scoperta, il professore non tarda a scendere in particolari...
“Circa un paio d’anni
fa - spiega - mi è stato consegnato
un manoscritto: un vero e proprio
brogliaccio, disordinato e quasi indecifrabile. Ho iniziato a studiarlo, a
trascriverlo, e ad un certo punto non ho più avuto dubbi: si trattava dei
componimenti dialettali di Angelo Mazza. Poesie delle quali si conosceva
l’esistenza, ma che si temeva fossero andate perdute o distrutte per il loro
contenuto ( si pensava) ‘licenzioso’...”
Doppiamente soprendenti allora...
“Sì, ma non in quel
senso. Non sono affatto licenziose. La vera sorpresa, accanto al ritrovamento,
è stata leggere l’Arcadia in dialetto. ‘Ascoltare’ i termini, i contenuti tipici di quest’Accademia(dalle poesie
celebrative a quelle d’occasione), ma nel nostro dialetto...”
La “Musa pramzana”:
tra le pieghe ordinate della sua tunica di divinità ispiratrice, nasce quindi
la radice aulica dell’universo linguistico dialettale. E soprattuttto la sua
relativa scrittura: momento che sancisce, come spesso accade, la fine di quella
che potremmo chiamare ‘preistoria’ di un ‘parlato’ che esiste da sempre.
E la sua successiva ‘storia’ allora ?
Ripercorrerla non sembra difficile: tra gli scaffali antichi
di questa libreria, la voce ‘Parma dialetto’ ne occupa uno soltanto. Eppure è un po' come seguire l’unico sentiero
esistente pretendendo così di conoscerne la foresta intorno...
Capacchi esplora da
sempre quella foresta: dalle radici proprie (“Sono assolutamente bilingue: in casa mia si parlava italiano e dialetto...”),
alle fronde più lontane (“Sono arrivato
persino a farmi ‘raccomandare’ per entrare nelle osterie della malavita locale
ed esplorarne il ‘bergom’: il particolare gergo. Più o meno ex-galeotti, ma
assolutamente svegli: capivano subito
quello che volevo.”).
Però la ‘storia’, torna ad essere più o meno tutta in quello
scaffale...
“Si parte (si è sempre
- e allora aggiungerei erroneamente - partiti) da una produzione ottocentesca e
...ridanciana.- riprende Capacchi -
Domenico Galaverna e Giuseppe Callegari. Poesie queste sì un poco ‘sconce’, e
per questo fino ad oggi mai pubblicate. Inedita, purtroppo, è invece la
produzione di Gasparotti, salvo alcuni brani di sue traduzioni dalla ‘Ulularia’
di Plauto. Letteratura decisamente più bassa, sempre nell’Ottocento -
prosegue Capacchi - è poi quella dei
‘patajòn’, grandi fogli murali con al centro una vignetta e ai lati due colonne
di lunario e altrettante di satira di costume. Il primo Novecento è ovviamente
di un Pezzani o di uno Zerbini, che hanno ampiamente dimostrato come far poesia
vera in dialetto.”
(La pausa improvvisa non sembra fatta per riprendere
fiato...)E oggi?
“Oggi: ma dobbiamo
essere elastici sulle date... Diciamo allora la produzione più recente? Senza
dubbio sono da segnalare “Ultmi rimmi” di Luigi Vicini e “Scarfuli” di Franco
Bertozzi. Subito esaurite.”
Come dire pochi ma buoni ?
“Buoni senza dubbio:
sono davvero un ottimo esempio di poeti dialettali. Quanto ai numeri della
produzione editoriale attuale direi che non sono davvero ...esagerati. E questo
nonstante la richiesta, l’attenzione verso quest’’altra cultura’...”
Dietro la grande scrivania che è un accatastato sunto di
parmigianità (attuale), e dietro la propria modestia, Capacchi ‘nasconde’ i due
grossi volumi del suo dizionario ‘Italiano-Parmigiano’ che ne attendono un
terzo. Pubblicazioni, queste sugli strumenti di studio, che accennano subito ad
un deciso ottimismo o, viceversa, alle prime note di un ‘de profundis’...
“Sono per l’ottimismo -
chiarisce subito Capacchi - Anzi, questa
produzione è decisamente al di sotto di quanto sarebbe necessario. Mancano gli
strumenti di supporto ai giovani, nonostante vi sia fermento. E penso al
lavoro dei gruppi teatrali, come al
lunario che ogni parmigiano ha ormai appeso in casa. Piccole tracce, d’accordo,
ma che contribuscono a far sì che un grande patrimonio non vada perduto.”
Insomma non è troppo tardi. Il ‘videoappiattimento’ non ha
ancora prevalso...
“No. Certo, è un
patrimonio non più intatto, ma ho davvero fiducia nel carattere dei parmigiani,
che non hanno mai sopportato di vedersi sottrarre una propria ricchezza.”
Ricchezza antica: di quella Musa che, se ci è concesso di
sognare, cantava due secoli fa magari nel tempietto del giardino...
“Temo di no. E’ lo
stesso Mazza che precisa di aver recitato questi versi in occasioni più intime
e conviviali. Del resto, per quanto talvolta siano specchio (traduzione?) delle
sue rime italiane, queste hanno un tono più scherzoso e azzardato. E non mancano
ingenuità, ‘sviste’, di chi usa questo mezzo linguistico da pioniere, per la
prima volta..”
Capacchi non li chiama ‘errori’. O forse non può: quello di
una grammatica del dialetto parmigiano è per ora il ‘suo’, sogno nel
cassetto...
“Eh sì! Se concede a me
di sognare,- sorride Capacchi - vorrei davvero terminare il terzo volume del
mio dizionario (mi sono dato una scadenza: tra due anni) e poi dedicarmi al
completamento di quella grammatica. Sognando, di nuovo, di esaurirne...15.000
copie. Gliel’ho detto(e fortunatamente sono sempre di più quelli che se ne
rendono conto): ogni parola dimenticata
è un poco di noi che se ne và. Se morisse il dialetto morirebbe una cosa
importante.”
Morirebbe una Musa.
Rita
Guidi
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